Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

SECONDA PARTE

INSERIMENTO ED ESCLUSIONE: UN ANNO DOPO

 

CAPITOLO 2.4

 

ALLIEVI DA TUTTO IL MONDO IN UNA SCUOLA CHE CAMBIA

 

1. Aumento delle presenze non italiane e mutamenti istituzionali

Nella scuola, come in altri ambiti del panorama istituzionale italiano, la presenza degli stranieri immigrati ha svolto negli anni recenti una funzione di cartina di tornasole che rende visibili carenze e limiti ma che, nello stesso tempo, stimola il cambiamento e la riprogettazione secondo modalità adeguate alla nuova realtà [Zincone 1994].

Nel caso della scuola gli alunni stranieri, sempre più numerosi e diversificati a partire dall'inizio degli anni novanta, obbligano a ripensare il doppio ruolo strategico dell'istituzione scolastica pubblica.

In primo luogo la funzione educativa di formazione dei cittadini: cosa significa oggi educare alla cittadinanza? Intorno a quali valori di fondo e linee unificatrici dell'intera offerta educativa e formativa ciò deve avvenire a fronte della composizione diversificata degli alunni e delle loro famiglie?

Un secondo nodo strategico della scuola riguarda gli obiettivi di preparazione alla vita lavorativa e gli interventi necessari ad assicurare a tutti gli studenti la possibilità di conseguirli positivamente. In questo senso la frequenza scolastica assume per gli immigrati un ruolo cruciale, come opportunità di mobilità sociale ascendente, o quanto meno, come uno dei mezzi necessari ad evitare che la condizione migratoria conduca a situazioni di marginalità (sociale, economica, culturale) finendo per assimilare una parte degli stranieri alle fasce svantaggiate della popolazione italiana.

Entrambi gli aspetti strategici indicati rimandano alle due definizioni di integrazione proposte nel Primo Rapporto della Commissione Integrazione [2000]. La scuola, infatti, costituisce per i bambini e i ragazzi un'esperienza a immersione totale e quotidiana, un terreno di contatto continuativo con altri: i compagni come singoli e come gruppo, gli insegnanti, il sistema scolastico con le sue regole; un clima che sostenga con sufficiente serenità i percorsi di socializzazione, passando attraverso un'educazione alla convivenza intesa come accettazione e valorizzazione delle rispettive diversità, consentirebbe di realizzare quell'integrazione come interazione positiva che, nel caso di giovani personalità in costruzione, è precondizione necessaria per raggiungere una integrazione intesa come integrità della persona. Infatti stare bene a scuola, sentirsi accettati dagli altri, intessere relazioni interpersonali positive, sono esperienze che aiutano i bambini nei processi di strutturazione dell'autostima e di una equilibrata identità personale, e risultano condizioni fondamentali per l'apprendimento.

La necessità di progettare e realizzare cambiamenti che rendano la scuola adeguata alla nuova realtà caratterizzata da un pluralismo culturale si innesta su uno sfondo di riassetto generale dell'istruzione nel nostro Paese. In particolare l'anno scolastico 1999‑2000 si può considerare un anno ponte tra il sistema finora in vigore e la scuola dell'autonomia [Papponi Morelli 1999]. Tra gli importanti cambiamenti in corso, il riordino dei cicli e la collegata revisione dei curricoli, il rinnovamento della figura e delle funzioni del capo d'istituto, la strutturazione di un sistema nazionale di valutazione dell'offerta formativa.

In questo quadro i problemi posti dall'integrazione degli alunni stranieri possono risultare agli occhi di chi opera nella scuola un carico in più, un ulteriore elemento di incertezza in una situazione che appare già di per sé complessa e difficile da comprendere. Accanto a questa reazione, tuttavia, sembra manifestarsi tra i docenti e i dirigenti scolastici un'apertura alla progettazione, l'idea che il clima di generale rinnovamento risulti particolarmente adatto all'inserimento dei cambiamenti richiesti dalla presenza degli allievi stranieri e che, specularmente, proprio i possibili nuovi apporti contenutistici e metodologici di tipo interculturale potranno fornire materia e freschezza alla programmazione scolastica e alla didattica.

Nel nuovo quadro normativo si possono individuare alcuni aspetti direttamente connessi alle prospettive di una scuola con una popolazione di allievi molto differenziata, o che costituiscono strumenti utilizzabili rispetto a questa trasfo­rmazione; si tratta sia di linee d'indirizzo specifiche sia di opportunità di finanziamento mirate alle iniziative interculturali o fruibili anche a questo scopo.

Alcuni documenti redatti a livello ministeriale e riguardanti i contenuti di base dell'apprendimento nella nuova scuola italiana [MPI 1997; 1998] considerano l'educazione interculturale come una componente strutturale di tutto l'insegnamento e di tutto il processo di apprendimento, quindi non una materia in più né un insieme di pratiche aggiuntive ai programmi curricolari. Per definire le funzioni di un'educazione interculturale così concepita questi documenti adottano il concetto di sfondo integratore, che in ambito pedagogico viene inteso come strumento che collega e conferisce coerenza interna ai diversi aspetti dell'agire quotidiano nella scuola. (1)

Il contratto nazionale del comparto scuola per il 1998/2001 (siglato il 20 Maggio 1999) e la relativa contrattazione integrativa (31 agosto 1999) delineano una nuova professionalità del personale docente, nella quale la cosiddetta formazione in servizio assume un valore centrale; gli stessi documenti comprendono disposizioni speci­ficamente rivolte ai docenti delle scuole dove si rileva una presenza consistente di studenti stranieri. In particolare l'articolo 19 del contratto integrativo prevede la promozione di attività formative per gli insegnanti delle scuole collocate nelle aree che vengono definite a forte processo immigratorio; questa formazione riguarda soprattutto il sostegno linguistico, l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua, l'approfondimento delle tematiche dell'educazione interculturale, la produzione e la diffusione di materiali didattici. Secondo lo stesso documento, per impostare e organizzare le attività formative le scuole dovranno avvalersi di soggetti qualificati e cooperare con le iniziative già realizzate o in corso da parte degli enti locali, delle associazioni di immigrati, delle ONG e delle associazioni di volontariato. Il contratto individua inoltre come obiettivo primario, per il triennio considerato, l'attuazione di quanto previsto dalla legge 40 del 6 marzo 1998 (in particolare l'articolo 36) in materia di diritto allo studio degli stranieri immigrati, di accoglienza delle differenze e di tutela delle culture e delle lingue d'origine.

Il regolamento sull'autonomia delle istituzioni scolastiche (D.P.R. n. 275 dell' 8 marzo 1999) prevede che le singole scuole redigano il proprio piano dell'offerta formativa (POF), cioè il progetto che definisce obiettivi, contenuti e metodi, costruendo l'identità di ciascuna scuola. Secondo alcuni esperti [Papponi Morelli 1999] l'accompagnamento alla formazione degli alunni che vivono in una società multiculturale dovrà essere necessariamente una delle finalità ricorrenti dei POF. Il programma nazionale di sperimentazione dei piani dell'offerta formativa si può avvalere dei finanziamenti previsti nella lettera circolare n. 194 del 4 agosto 1999.

Accanto alle disponibilità finanziarie derivanti dalla nuova autonomia scolastica, altre recenti attribuzioni di fondi nazionali consentono alla scuola statale di attuare iniziative collegate all'integrazione degli alunni stranieri e nomadi nelle diverse aree del territorio nazionale, tendendo in questo modo a riequilibrare le differenze territoriali relative al supporto più o meno presente degli enti locali. In particolare la circolare ministeriale 21 ottobre 1999, n. 249, in attuazione di alcuni articoli del contratto nazionale 1998‑2001, definisce la ripartizione del finanziamento di circa dieci miliardi tra le province in cui si trovano le scuole con una presenza significativa di alunni non italiani e chiarisce i criteri di assegnazione: scuole con almeno il 10% di stranieri e/o nomadi di recente immigrazione, oppure con percentuali inferiori, ma situazioni particolari o una progettazione in corso di strategie specifiche; sono escluse invece le scuole che hanno già finanziamenti da fondi diversi per progetti di accoglienza e integrazione; la circolare individua in totale 70 province.

Tra i fondi nazionali utilizzabili dalle scuole sono ancora da ricordare quelli previsti dalla legge 40/ 98 e i finanziamenti su progetto nell'ambito della legge 285/97.

 

2. Il quadro descrittivo

 

2. 1. I numeri

Il Sistema Informativo del ministero della Pubblica Istruzione, attraverso le schede di rilevazione statistica distribuite nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, raccoglie e elabora dati sulla popolazione scolastica che comprendono alcune informazioni specificamente riferite agli iscritti con cittadinanza non italiana. Nel corso degli anni Novanta c'è stata un'evoluzione nella raccolta dei dati che rispecchia la sempre maggiore consistenza delle presenze straniere e la necessità di comprendere meglio il fenomeno; a partire da una prima raccolta di informazioni utili a fornire un quadro descrittivo (numero, sesso, provenienza nazionale) la gamma delle variabili considerate si è estesa e comincia a comprendere anche informazioni sul ritardo e sul successo scolastico dei ragazzi stranieri in rapporto agli alunni non immigrati.

Alcuni osservatori statistici locali, come i provveditorati agli studi di Vicenza e di Prato, e tutti i provveditorati della Lombardia, costituiscono esempi interessanti per la più ampia gamma di variabili che considerano e per gli incroci di dati che propongono.

Secondo i dati del ministero della Pubblica istruzione nell'anno scolastico 1998/99 gli studenti stranieri erano 85.522, pari all' 1,09% dell'intera popolazione scolastica.

Nel 1999/2000 le scuole italiane, dalla materna alle medie superiori, sia pubbliche sia convenzionate, sono state frequentate da 119.679 allievi con cittadinanza non italiana. La percentuale di stranieri sul totale degli iscritti è stata dell' 1,47%.

Il maggior numero di presenze (52.973) si rileva nella scuola elementare; seguono le medie inferiori (28.891), le scuole materne (24.103) e le superiori (13.712).

All'inizio dell'anno scolastico 2000‑2001 gli iscritti non italiani sono circa 140.000 e corrispondono al 2% del totale degli scolari, con un incremento di circa 20.000 unità e di più di mezzo punto percentuale in un anno.

L'aumento del numero di stranieri presenti nelle scuole è stato una tendenza costante dall'inizio degli anni novanta; tuttavia fino al 1996‑97 i nuovi ingressi ad ogni anno scolastico non presentavano variazioni di rilievo, mantenendosi tra le 5.000 e le 7.000 unità; nel 1997‑98 si è avuta una prima impennata, con 13.000 studenti stranieri in più rispetto all'anno precedente; tra il 1998‑99 e l'anno successivo la differenza è stata di 35.000 presenze.

Due i principali fattori che possono spiegare questa tendenza e, in particolare, il picco registrato nel 1999‑2000. In primo luogo i ricongiungimenti familiari, in ascesa nell'ultimo quinquennio e particolarmente dopo le regolarizzazioni dei 1998‑99; un secondo fattore, a sua volta in rapida crescita, è rappresentato dal numero di figli di immigrati che nascono in Italia.

Secondo dati Istat, nel 1998 sono nati nel nostro Paese 16.901 bambini con cittadinanza non italiana; nel 1999 sono stati 21.175, pari a un aumento del 25%; così come la maggioranza dei ricongiungimenti viene attuata nelle aree del centro nord, anche le nascite sono distribuite sul territorio nazionale in modo tale da riguardare, nel 1999, per il 64% le regioni del Nord, per il 24% il Centro e per il 12% il Sud e le Isole.

 

2.2. La distribuzione sul territorio

La diseguale distribuzione quantitativa degli alunni non italiani nelle scuole del territorio nazionale risulta uno specchio efficace delle varietà locali del fenomeno migratorio nel nostro Paese: le città dove il mercato del lavoro è più ricettivo nei confronti degli stranieri diventano luoghi di stabilizzazione e di crescente presenza dei nuclei familiari; soprattutto i comuni del centro nord, quindi, vedono il maggior numero di alunni stranieri, sia in percentuale sia in cifre assolute, sul totale degli stranieri presenti nelle scuole italiane. Invece in altri centri, soprattutto al Sud e nelle Isole, luoghi in prevalenza di primo arrivo e di passaggio verso il Nord, o di lavoro stagionale, il numero dei minori immigrati nelle scuole è relativamente limitato.

Le diverse disaggregazioni possibili del dato nazionale offrono inoltre una conferma della presenza a macchia di leopardo degli stranieri: percentuali più o meno elevate da regione a regione, ma anche tra le province e tra i centri cittadini delle singole regioni, e, nello stesso comune, da un quartiere all'altro e tra singole scuole.

La Lombardia è la regione con il più alto numero di scolari non italiani, pari a un quarto circa del totale nazionale di allievi stranieri (24,5%) nell'anno scolastico 1999­-2000. Le altre regioni in cui si registrano le maggiori presenze sono, nell'ordine, l'Emilia‑Romagna, il Veneto, il Lazio, la Toscana e il Piemonte; in queste aree è presente una percentuale di alunni stranieri sul totale degli scolari immigrati compresa tra il 9 e il 12% circa. Ciascuna delle altre regioni si mantiene sotto il 5%.

Il confronto tra la distribuzione percentuale degli studenti stranieri nelle regioni e quella del totale degli immigrati soggiornanti in ciascuna regione rende evidente la maggiore concentrazione dei nuclei familiari nel nord. In Lombardia, ad esempio, gli stranieri sono il 21,3% del totale nazionale, e i loro figli iscritti a scuola, come si è visto, il 24,5%; il dato è indice di una popolazione straniera formata in gran parte da famiglie con figli, almeno per quanto riguarda le persone in regola rispetto al soggiorno. All'opposto la Campania ha una percentuale di soggiornanti pari al 5% del totale nazionale, ma accoglie solo l' 1,1% degli stranieri iscritti nelle scuole; nella provincia di Napoli, che si colloca al quarto posto tra le province italiane per numero di stranieri soggiornanti, i bambini non italiani iscritti a scuola non arrivano alle mille unità (tab. 1).

 

Tab. 1. Distribuzione percentuale per regione degli alunni con cittadinanza non italiana nell'anno scolastico 1999‑2000 e degli stranieri soggiornanti al 31.12.1999

 

Regione

Alunni con cittadinanza non italiana

Stranieri soggiornanti

Piemonte e Valle d'Aosta

9,18%

6,6%

Lombardia

24,53%

21,3%

Trentino Alto Adige

1,15%

2,3%

Veneto

11,81%

9,7%

Friuli Venezia Giulia

2,81%

3,0%

Liguria

2,78%

2,8%

Emilia Romagna

12,30%

8,0%

Toscana

9,46%

7,5%

Umbria

2,47%

1,9%

Marche

4,03%

2,4%

Lazio

10,19%

17,7%

Abruzzo

1,68%

1,3%

Molise

0,12%

0,1%

Campania

1,14%

5,0%

Puglia

2,81%

3,5%

Basilicata

0,13%

0,2%

Calabria

0,78%

1,2%

Sicilia

2,18%

4,6%

Sardegna

0,45%

0,9%

Totale nazionale

100,00%

100,0

 

Fonte: ministero della Pubblica istruzione ‑ Roma 2000 e rielaborazione su dati Caritas 2000.

 

Scomponendo il dato regionale nelle singole province, a Milano, Roma e Torino si concentra il numero più alto di bambini stranieri a scuola, come, d'altra parte, più complessivamente di cittadini non italiani. I bambini iscritti nelle scuole del capoluogo lombardo sono 12.848, pari al 10% circa di tutti i bambini stranieri che frequentano le scuole italiane.

 

Tab.2. Le prime venti province italiane per numero di alunni con cittadinanza non italiana, in ordine decrescente, secondo la cittadinanza più rappresentata e la percentuale di allievi dello stato più rappresentato sul totale dei non italiani. Anno scolastico 1999‑2000

 

Provincia

Totale alunni con cittadinanza non italiana

Cittadinanza più rappresentata

Percentuale della prima minoranza sul totale allievi non italiani

Milano

12.848

Cina

11,99%

Roma

10.074

Albania

9,57%

Torino

5.061

Marocco

26,62%

Brescia

4.749

Marocco

18,64%

Firenze

4.441

Cina

23,55%

Vicenza

3.781

Jugoslavia (Serbia, Montenegro)

24,70%

Treviso

3.471

Marocco

22,99%

Bologna

3.466

Marocco

33.29%

Verona

3.316

Marocco

26,24%

Modena

3.170

Marocco

38,04%

Bergamo

2.960

Marocco

34,16%

Perugia

2.461

Albania

26,41%

Cuneo

2.152

Marocco

35,78%

Reggio Emilia

2.143

Marocco

27,76%

Varese

1.959

Marocco

25,06%

Genova

1.852

Ecuador

31,16%

Mantova

1.773

Marocco

28,48%

Padova

1.620

Marocco

21,48%

Bari

1.620

Albania

68,52%

Parma

1.473

Marocco

22,61%

 

Fonte: ministero della Pubblica istruzione ‑ Roma 2000.

 

Tra le aree con il numero più elevato di alunni con cittadinanza non italiana si annoverano, oltre alla provincia di Firenze, quasi tutte le province lombarde (con Brescia al primo posto), dell'Emilia Romagna e dei Veneto (tab. 2).

La geografia dell'immigrazione nelle scuole italiane consente di individuare ulteriori differenziazioni territoriali; in città come Roma, Milano, Torino, Prato, alcuni quartieri, e in essi alcune scuole, hanno percentuali di alunni non italiani molto più elevate della media locale e di quella nazionale, fino al 20‑25% del totale degli iscritti; in alcune classi la maggioranza degli allievi proviene da Paesi diversi dall'Italia; in altri quartieri e scuole, invece, i bambini stranieri sono poche unità o del tutto assenti.

 

2.3. Provenienza e tipologia degli alunni non italiani

I bambini e i ragazzi stranieri provengono da un numero altissimo di Paesi, e la loro presenza composita per cittadinanza si ritrova nelle scuole. Nelle classi di Milano e di Roma si rileva la maggiore varietà di appartenenze nazionali, rispettivamente 144 e 142.

Gli allievi marocchini (la nazionalità più numerosa in Italia) rappresentano la percentuale maggiore tra gli immigrati in molti centri del Centro Nord. A Modena, ad esempio, sono il 38% di tutti gli scolari stranieri, a Bologna e a Bergamo sono circa il 34%.

A Bari gli albanesi, seconda presenza a livello nazionale, sono il gruppo relativamente più numeroso e rappresentano il 68,5% di tutti gli allievi non italiani.

Anche nelle scuole di Roma gli albanesi sono la cittadinanza più rappresentata, ma raggiungono solo il 9,5% del totale degli allievi stranieri, data la forte diversificazione delle nazionalità rilevabili nelle scuole della capitale.

Nelle province di Milano, Firenze e Prato i più numerosi sono i cinesi: nel capoluogo lombardo sono quasi il 12% degli iscritti stranieri, mentre a Firenze arrivano al 23,5%. A Prato il 61,6% degli immigrati iscritti nelle scuole è cinese.

Per quanto riguarda la cittadinanza più rappresentata nelle scuole italiane secondo una ripartizione per province, gli albanesi sono la prima nazionalità in 46 territori su 101, mentre i marocchini, pur se più numerosi in cifre assolute, corrispondono alla prima presenza straniera nelle scuole di 37 province.

Una novità nelle scuole italiane è la presenza consistente di cittadini dell'ex Jugoslavia; alla fine del 1998 [Caritas 2000] erano arrivati al secondo posto, insieme agli albanesi, nelle rilevazioni nazionali sul numero di soggiornanti; i provveditorati agli studi di Trieste, Vicenza e Venezia li segnalano come il gruppo relativamente più consistente: rispettivamente il 36,3%, il 24,7% e il 19,4% di tutti gli stranieri che frequentano le scuole locali.

L'analisi dei dati sugli inserimenti scolastici risulta utile anche come segnale di cambiamenti in corso in alcune realtà locali; ad esempio a Genova nell'anno scolastico 1999‑2000 il 31 % dei bambini stranieri iscritti a scuola proviene dall'Ecuador, poiché nel 1999 questo gruppo nazionale, per il resto finora scarsamente presente in Italia, è diventato il più numeroso nella città

Un processo ancora appena accennato, ma che si comincia a vedere in alcuni centri urbani, è la suddivisione del territorio in zone etniche; ad esempio a Prato ‑ dove in alcune scuole tra il 1998/99 e il 1999/ 2000 la popolazione scolastica di origine non italiana è aumentata di più del 100% ‑ il dato cittadino dice che le due nazionalità prevalenti sono i cinesi e gli albanesi, ma vi sono circoli didattici in cui prevalgono nettamente gli uni o gli altri.

La varietà di composizione degli alunni stranieri non si riferisce solo alla provenienza nazionale; infatti numerosi altri fattori rendono la popolazione scolastica di origine non italiana un insieme composito di soggetti con caratteristiche personali e percorsi di vita tra loro differenti, che richiedono alla scuola molteplici sforzi di comprensione e di elaborazione di risposte. Sul piano descrittivo le diverse tipologie si possono schematizzare in questo modo:

- bambini di seconda generazione nati in Italia da due genitori stranieri;

- bambini giunti nel nostro paese per ricongiungimento familiare;

- bambini entrati in Italia, soli o con la famiglia, come profughi;

- nomadi o ex nomadi rom e sinti, che non emergono se si considerano solo i dati sulla cittadinanza (possono essere italiani, ex jugoslavi, rumeni).

Accanto alla varietà tipologica degli alunni stranieri, occorre tenere presente anche la variabilità delle presenze nel tempo; nel corso dell'anno scolastico una parte cambia città, altri arrivano in Italia per ricongiungimento o entrano tra i profughi; un dato locale, raccolto dal Provveditorato di Prato, indica che nell'aprile 2000 il numero totale delle presenze di stranieri nelle scuole elementari, 513, appare invariato dall'inizio dell'anno, ma in realtà 48 bambini se ne sono andati e altri 48 nuovi sono arrivati; dalla stessa rilevazione effettuata nelle scuole medie risulta che dall'inizio dell'anno all'aprile 2000 sono arrivati 53 nuovi alunni e se ne sono andati 42.

I bambini nomadi meriterebbero un'attenzione specifica decisamente più ampia di quella che è stata loro rivolta finora anche per quanto riguarda l'integrazione a scuola: in parte nati in Italia, e per quanto riguarda i sinti, cittadini italiani, sempre più sedentari, risultano portatori di una doppia diversità che li emargina e li esclude: diversi dagli italiani per lingua e per cultura, e dunque «stranieri»; ma diversi anche da tutti i gruppi presenti in Italia, che essi stessi accomunano sotto l'appellativo di gadjé.

 

2.4. Primi dati sul successo formativo

Sulle carriere scolastiche dei bambini e dei ragazzi stranieri si dispone ancora di pochi dati, e soprattutto mancano serie storiche in base alle quali attuare significativi confronti e poter formulare interpretazioni verosimili.

Per l'anno scolastico 1998‑99 risulta promosso il 98,8% del totale degli alunni scrutinati nelle scuole elementari; se si scompone il dato riferendolo ai soli bambini con cittadinanza non italiana la percentuale di promossi scende al 95,5%. Nelle medie il divario appare più ampio: il 94,8% di alunni promossi, a fronte dell' 84% tra i soli alunni stranieri.

 

3. Esperienze e progetti: l'approccio interculturale nelle scuole italiane

Rispetto alla definizione di interculturalismo, e del correlato aggettivo interculturale si possono ormai riconoscere alcune coordinate teoriche diffusamente condivise, ricorrenti negli studi che si sono susseguiti in Italia nell'ultimo decennio, e nelle premesse dei progetti orinai numerosi di educazione interculturale che animano il mondo della scuola italiana.

Non sarebbe utile né opportuno in questa sede ripercorrere il dibattito in materia. Giova forse semplicemente ricordare che l'intercultura non è una disciplina, né una tecnica, ma un approccio, uno sfondo di valori di riferimento fortemente orientati alla realizzazione di azioni pratiche attraverso cui sperimentarli. Nella scuola oggi appare spesso come un contenitore che viene riempito di attività e iniziative tra loro molto diverse, raggruppate sotto l'etichetta di educazione interculturale. In prospettiva tuttavia, come auspicato da numerosi studi e da recenti documenti ministeriali, l'educazione interculturale dovrebbe sottrarsi alla dispersione in mille rivoli di attività a volte estemporanee, venendo piuttosto a costituire un insieme di finalità educative alla luce delle quali rileggere i curricoli di tutte le materie e i metodi con cui vengono insegnate [Gusso 1999].

 

3. 1. Una premessa irrinunciabile: la competenza linguistica

La legge 40/98 (art. 38 del Testo Unico) considera «l'attivazione di appositi corsi ed iniziative per l'apprendimento della lingua italiana» tra i mezzi principali per garantire l'effettività del diritto allo studio degli alunni stranieri. Nello stesso articolo si afferma che «la comunità scolastica ... promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d'origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni».

In genere in età infantile l'apprendimento della lingua dei pari è piuttosto celere; tuttavia questa rapidità può determinare un'illusione ottica, una sopravvalutazione delle competenze linguistiche effettivamente acquisite, molto pericolosa perché (sic) non saranno messe in campo le necessarie misure di valutazione e di sostegno atte a promuovere carriere scolastiche positive e l'accesso all'istruzione superiore. Secondo alcune ricerche [De Liva 2000], infatti, a un bambino di lingua madre non italiana in età scolare occorrono due anni per sviluppare una competenza fluente nella lingua informale e sociale, mentre è necessario un periodo che varia dai cinque ai sette anni per acquisire una competenza effettivamente adeguata allo studio delle materie di insegnamento.

L'istituzione scolastica ha messo in campo strumenti di vario tipo per l'insegnamento e l'apprendimento dell'italiano come seconda lingua. Per i docenti, corsi di formazione e manuali di didattica, in forma di volume o di cd rom. Per gli allievi laboratori linguistici e testi specificamente mirati in relazione alle lingue straniere più diffuse tra gli immigrati.

Si possono individuare due modelli principali d'intervento: da un lato, la strutturazione di laboratori di italiano come seconda lingua specifici per i bambini stranieri, finalizzati al sostegno linguistico durante il primo periodo dell'arrivo in Italia e dell'inserimento a scuola. Dall'altro lato progetti di integrazione linguistica, ancora sporadici, il cui presupposto teorico è che gli allievi acquisiscono una seconda lingua in maniera effettiva quando sono impegnati nell'apprendimento, non quando l'attenzione è sull'italiano, e che quindi non c'è bisogno di un sostegno linguistico separato. A Taranto, ad esempio, il progetto avviato nel 1998 da una direzione didattica coinvolge i docenti di tutte le materie in specifiche azioni di aiuto linguistico nell'ambito delle proprie lezioni. A Udine il progetto in corso di sperimentazione prevede da parte degli insegnanti, durante la normale attività didattica, comportamenti e tecniche utili a facilitare i bambini immigrati (ad esempio, sostegno verbale addizionale, ripetizione, sostegno visivo, lavori in piccoli gruppi).

Un'altra tipologia di interventi riguarda la valorizzazione delle lingue d'origine. In quest'ambito i progetti più interessanti considerano la competenza nella prima lingua come una risorsa dei bambini e un sostegno al l'apprendimento dell'italiano, proponendo quindi due percorsi linguistici contemporanei e reciprocamente intersecati.

In qualche caso la comparazione tra la struttura linguistica dell'italiano e quella di un'altra lingua (ad esempio il cinese nel progetto di una scuola elementare di Roma dove i cinesi sono la maggioranza) risulta un efficace strumento didattico e nello stesso tempo aiuta gli insegnanti a comprendere alcune difficoltà linguistiche degli allievi.

A Milano una scuola media, con un progetto di sperimentazione dell'autonomia, ha stipulato un contratto con una docente cinese cui sono attribuite funzioni di insegnamento linguistico e di mediazione linguistica e culturale.

Il modello sperimentato a Udine (per questo particolare aspetto ne è titolare la Provincia in convenzione con alcune associazioni) propone la figura del mediatore linguistico come servizio di supporto all'attività degli insegnanti in classe; gli allievi stranieri vengono considerati bilingui, attribuendo quindi pari accoglienza e importanza alla lingua di provenienza e a quella del Paese d'immigrazione.

L'integrazione degli scolari di famiglia nomade merita un'attenzione particolare. Nelle iniziative di scolarizzazione dei bambini dei campi avviate in alcune città, infatti, sembra prevalere un approccio di tipo assistenziale, volto più a rimuovere situazioni di disagio che a promuovere l'integrazione intesa come integrità della persona, e comprendente quindi anche la valorizzazione della lingua romanes e della cultura al pari con tutte le altre rappresentate nella comunità scolastica. Tra le rare esperienze che si pongono questi obiettivi, occorre segnalare il progetto attuato in una scuola elementare della periferia milanese, che impiega mediatrici rom per l'accoglienza dei bambini che provengono dai campi di sosta e per il loro inserimento nel laboratorio di lingua italiana.

 

3.2. Intercultura: il panorama delle iniziative

Le esperienze inserite sotto l'etichetta di intercultura sono ormai numerose e riguardano scuole situate in tutte le regioni italiane. Si rilevano in particolare nella scuola dell'obbligo, dove è iscritta la maggiore percentuale dei bambini di famiglia straniera, mentre sono ancora episodiche nelle medie superiori, sia perché il numero relativamente contenuto di iscritti non italiani rende meno immediata l'esigenza di avviare percorsi interculturali, sia perché appare più difficile inserire queste attività nella programmazione curricolare. Il rapido aumento del numero di bambini stranieri nella fascia d'età 0‑6 anni, inoltre, ha cominciato a stimolare la produzione di progetti interculturali anche nei nidi e nelle scuole per l'infanzia.

Per quanto riguarda i contenuti, analizzando le iniziative attuate negli anni Novanta, e in corso nell'anno scolastico 2000‑2001, è ormai possibile riconoscere alcune tipologie che si ripetono, pur se con le variazioni dovute alla creatività e all'interpretazione dei soggetti che le progettano a livello locale. Una suddivisione degli interventi per categorie può essere la seguente:

‑ sperimentazione di alcune modalità espressive di altre culture: danze, giochi, cucina, feste; queste proposte riguardano soprattutto le scuole materne ed elementari e spesso prevedono il coinvolgimento dei genitori;

‑ gemellaggi, adozioni a distanza, scambi epistolari con scuole di altri Paesi;

‑ il racconto, la fiaba come occasione di confronto delle differenze e delle analogie tra universi fantastici e narrativi appartenenti a diverse culture;

‑ approcci che collegano l'intercultura all'educazione allo sviluppo e all'analisi della società globalizzata; nei casi più interessanti si parte dal micro (i rapporti interpersonali nella classe, interetnici nella propria città) per passare a analizzare sul piano macro le relazioni tra Paesi, Nord e Sud del mondo;

‑ studio di popoli e culture. In alcuni casi l'attenzione è mirata alle culture di provenienza prevalenti nella scuola, ad esempio gli albanesi in Puglia, i cinesi nell'area fiorentina e a Milano. In altri casi la proposta di studio riguarda popolazioni lontane nello spazio e nel tempo, come gli aborigeni australiani o gli indiani d'America, ed è intesa come esercitazione a scoprire e valorizzare la categoria del diverso da sé;

‑ approfondimento di alcuni contenuti nei programmi curricolari (nello studio della storia, ad esempio, le migrazioni, o gli scontri tra arabi e cristiani);

‑ percorsi di analisi su temi come pregiudizio, razzismo, tolleranza, proposti soprattutto agli allievi delle scuole medie e superiori.

Un filo conduttore che accomuna in particolare i progetti gestiti da soggetti esterni alla scuola (associazioni, ong, educatori comunali) è il metodo didattico, tipico delle cosiddette nuove educazioni (all'intercultura, alla pace, all'ambiente e così via): progetti che danno più importanza agli obiettivi valoriali e comportamentali che a quelli cognitivi [Scognamiglio 1999]; un modo di lavorare con le classi che esclude la lezione frontale, preferendo il piccolo gruppo condotto con metodi attivi (il racconto di sé, i giochi di ruolo ecc.).

Un aspetto particolarmente interessante da considerare è la diversa composizione dei soggetti che nelle singole realtà locali si attivano per rendere possibile l'introduzione a scuola delle iniziative interculturali. A questo proposito riemergono in modo forte le differenziazioni del territorio nazionale: la quantità e la strutturazione dell'offerta variano a seconda del ruolo più o meno incisivo svolto dagli enti locali e della presenza variamente articolata dell'associazionismo. In base all'analisi del quadro istituzionale in cui gli interventi si inseriscono si possono indicare a grandi linee due diversi modelli: nel Centro Nord i promotori sono di solito gli enti locali, in collaborazione con le associazioni del privato sociale; in alcuni casi i programmi interculturali risultano l'estensione di una già ricca offerta di attività proposte alla scuola dalle amministrazioni comunali. Nel Sud, invece, i progetti interculturali vengono attivati in prevalenza nell'ambito dell'istituzione scolastica, da parte dei provveditorati agli studi e dei circoli didattici.

Città grandi e popolate da molti immigrati come Milano e Torino hanno avviato numerosi percorsi interculturali nelle scuole. Ma in una breve carrellata esem­plificativa di buone prassi e modelli operativi interessanti scelti in diverse aree del territorio nazionale, il maggior motivo d'interesse di questi due casi non deriva dalla quantità degli interventi. Il modello milanese infatti merita attenzione in particolare per la scelta di una formula mista, che coinvolge istituzioni pubbliche e soggetti privati, per la programmazione centralizzata delle iniziative di tipo interculturale; dal 1992 esiste a questo scopo presso il provveditorato agli Studi una Commissione per l'educazione all'interculturalità e l'integrazione degli alunni nomadi e stranieri, di cui fanno parte rappresentanti della provincia e del comune di Milano, dell'Irrsae Lombardia, delle fondazioni Cariplo Ismu e Verga, dell'Opera Nomadi, e delle ong lombarde.

A Milano come a Torino nell'ultimo decennio sono state trasferite anche all'educazione interculturale le competenze maturate dalla metà degli anni Ottanta, dagli operatori comunali e delle associazioni, nell'ambito dei numerosi progetti relativi alle cosiddette educazioni: laboratori e incontri con le classi finalizzati a

informare e coinvolgere gli allievi su temi come l'educazione all'ambiente, alla salute, alla pace ecc..

Nel caso di Torino le attività di tipo interculturale proposte dal Comune alle scuole materne e dell'obbligo (per l'anno scolastico 2000‑2001 gli insegnanti possono scegliere tra una cinquantina di proposte), e gestite in parte dagli insegnanti dei laboratori comunali e in parte da associazioni, rientrano in un più complessivo progetto cittadino di attività educative rivolte a bambini, ragazzi e adulti. Ispirandosi al concetto della formazione e dell'educazione permanente nell'arco della vita di una persona, l'amministrazione comunale elabora un programma annuale di incontri e di laboratori aperti a tutti i cittadini; vari sono i temi trattati, ma uniti dal filo conduttore della preparazione alla convivenza non conflittuale in una realtà urbana che cambia.

Un progetto dell'Irrsae Veneto, Il Viaggio, metafora per un'esperienza di laboratorio interdisciplinare e interclasse sui grandi temi dell'intercultura e del­l'educazione alla pace, ha coinvolto nella sperimentazione insegnanti delle scuole medie di più città: Padova, Venezia, Rovigo e Vicenza.

Il caso di Empoli fornisce un buon modello di inserimento organico nel Piano integrato di area (uno strumento di intervento complessivo sul territorio, promosso da più istituzioni) di uno specifico progetto di sostegno linguistico per i bambini stranieri che frequentano le scuole dell'obbligo; il progetto è sostenuto dai finanziamenti della regione Toscana e dei comuni di Empoli, Vinci e Cerreto Guidi, e coinvolge le direzioni didattiche, le scuole medie inferiori e un centro studi.

Probabilmente meno note, ma interessanti soprattutto per la capacità di uscire dai confini della scuola toccando la comunità locale, sono alcune esperienze attuate in piccoli comuni; a Roccastrada (Grosseto), ad esempio, l'inserimento di un insegnante di lingua e cultura slava nelle locali scuole dell'obbligo si collega con vari altri interventi (formazione di insegnanti e altri operatori, riorganizzazione della biblioteca comunale ecc.), con un generale obiettivo di integrazione tra la popolazione autoctona e la numerosa comunità slava; il progetto ha comportato l'attivazione di diversi soggetti istituzionali e della società civile: comune, provincia, Asl, provveditorato agli studi, Istituto storico della resistenza di Grosseto e altre associazioni locali, fondazione Cariplo Ismu.

A Bologna parte dell'elaborazione concettuale su cui sono basati gli interventi di educazione interculturale nelle scuole nasce dalla collaborazione tra il comune e l'università.

Un circolo didattico di Ragusa ha scelto di avvalersi della collaborazione delle famiglie italiane per favorire il processo di integrazione e consolidamento delle competenze linguistiche degli alunni immigrati, nell'ambito di un progetto di sostegno linguistico e scambio interculturale nelle classi.

Nel panorama del Sud, è ancora da segnalare la Sardegna, dove ‑ pur a fronte di un numero di presenze relativamente esiguo ‑ la regione si è attivata favorendo, tramite l'associazionismo, la realizzazione di circa settanta progetti interculturali in tutta l'isola nell'anno scolastico 1999‑2000.

 

3.3. Formazione degli insegnanti e nuove figure professionali

I progetti e le esperienze interculturali realizzati nelle scuole vengono gestiti, a seconda dei casi, direttamente dal personale docente, da operatori e esperti vari esterni alla scuola, o da queste due figure in collaborazione.

Per la propria formazione gli insegnanti hanno ormai a disposizione una gamma abbastanza ampia di offerte, nella quale si possono riconoscere alcune tipologie:

‑ i corsi predisposti dalle stesse istituzioni scolastiche (Irrsae, provveditorati, circoli e direzioni didattiche, singoli istituti) riguardanti soprattutto l'acquisizione di informazioni e l'analisi della storia e della cultura di altri Paesi, la modificazione dei curricoli di alcune materie, i riferimenti teorici dell'educazione interculturale e, in misura crescente, il sostegno linguistico e l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua.

‑ Le proposte formative elaborate da enti locali, ong, associazioni culturali e di immigrati, enti del volontariato. In questi casi l'offerta prevalente riguarda argomenti quali: conoscenza del fenomeno migratorio, problemi mondiali dello sviluppo e del sottosviluppo, metodi di individuazione e di decostruzione degli stereotipi, conoscenza di modelli culturali relativi a altri Paesi, conduzione in classe di percorsi finalizzati al riconoscimento e alla valorizzazione delle diversità; viene data molta importanza al metodo, che in genere fa riferimento alla conduzione attiva dei gruppi. In alcuni casi i percorsi formativi sono rivolti, oltre che ai docenti delle scuole dell'obbligo, agli educatori di nido e agli insegnanti della scuola dell'infanzia. Alcune proposte degne d'interesse considerano gli incontri di formazione con gli insegnanti come il primo modulo di un più complessivo percorso progettuale che nelle tappe successive si struttura in attività e laboratori con le classi.

‑ La formazione a distanza. La convenzione tra il ministero della Pubblica istruzione e la Rai per un progetto di formazione a distanza nell'anno scolastico 1999‑2000 aveva lo scopo di garantire una diffusione il più possibile capillare di conoscenze adeguate alla nuova scuola multiculturale tra gli insegnanti di tutti gli ordini scolastici; il pacchetto formativo era composto da 10 trasmissioni televisive, da un cd rom. realizzato dal ministero, dalla possibilità di consultare un apposito sito Internet, e prevedeva anche momenti di confronto collegiale tra i docenti delle scuole che deliberavano l'adesione all'iniziativa. Il particolare aspetto innovativo del progetto ‑ cui hanno aderito circa 2.500 docenti ‑ è il fatto che alla formazione conseguita con strumenti telematici sia stata riconosciuta una vera e propria certificazione delle competenze acquisite.

Le attività suscitate dalla presenza degli allievi non italiani hanno portato dentro la scuola operatori italiani e stranieri, che risultano però presenze episodiche; ciascuna di esse dura quanto l'attività che gestisce. Solo in alcuni casi, che riguardano soprattutto gli istituti dove si sono avviate sperimentazioni di laboratori linguistici, la presenza di figure esterne, accanto al docente, è maggiormente continuativa e comincia a delineare un proprio ruolo specifico nell'ambito del personale operante a scuola.

Dove maggiore è la presenza degli allievi non italiani le nuove esigenze che ne derivano stanno conducendo a un ripensamento delle competenze e degli strumenti metodologici degli insegnanti, ma hanno anche suscitato alcune riflessioni sulle nuove figure professionali che potrebbero utilmente operare nella scuola con una competenza specifica sui temi e sulle pratiche di tipo interculturale.

Non esistono a questo proposito profili professionali definiti, né vi è chiarezza sul significato stesso dei termini che vengono usati per definire i soggetti che di fatto si propongono alla scuola come addetti all'intercultura. Si può anzi rilevare che ciascuna realtà locale ha coniato proprie definizioni e concepito progetti di formazione e interventi che intendono nel modo più vario le competenze richieste agli operatori esterni (al di là di un generico appello all'esperienza sui temi interculturali), i loro compiti nella scuola, la relazione con il lavoro dei docenti.

La nuova figura professionale entrata per prima nelle scuole nell'ambito delle iniziative interculturali è quella del mediatore culturale; vari sul territorio nazionale sono i modi d'intenderlo, né esistono per i mediatori percorsi formativi universalmente praticati e riconosciuti. In questo campo il Piemonte si può con­siderare un precursore: il primo corso di formazione pubblico risale al 1992; at­tualmente la Regione ha fissato alcuni limiti riguardanti il numero di ore e le caratteristiche dei percorsi formativi, e si sta attuando una tendenza alla specia­lizzazione per ambiti d'intervento, che finora ha riguardato soprattutto i servizi sanitari, ma potrebbe in futuro rivolgersi anche alla scuola.

In alcuni casi locali (ad esempio Milano, Trieste, Parma) il mediatore nella scuola viene inteso principalmente come un operatore che facilita il dialogo interculturale, fornendo nel contempo un supporto alla comprensione linguistica. In altri casi l'aspetto dell'apprendimento linguistico viene ritenuto prioritario, tanto che l'operatore di madrelingua viene definito mediatore linguistico; per quest'ultimo approccio l'esperienza di Udine si può considerare un modello a livello nazionale, anche per la chiarezza e la precisione con la quale vengono definiti il ruolo e i compiti del mediatore.

L'ultima nata tra le figure professionali che realizzano interventi di tipo interculturale nelle scuole è stata denominata «animatore‑educatore interculturale». Sperimentata a Torino nell'anno scolastico 1999‑2000 con un progetto di formazione per alcune operatrici non italiane e un conseguente laboratorio teatrale rivolto a bambini, insegnanti e genitori della scuola materna e elementare di un quartiere ad elevata presenza di immigrati (San Salvario), questa figura viene utilizzata specificamente per la realizzazione di interventi che collegano la scuola al territorio; la relazione valutativa del primo anno di sperimentazione mette in luce il forte interesse e il coinvolgimento sia di chi ha frequentato i laboratori sia più estesamente della popolazione del quartiere.

 

4. Nodi problematici, prospettive, proposte

 

4. 1. Le competenze linguistiche

Sostenere l'acquisizione di una buona competenza nell'italiano scritto e parlato deve restare un obiettivo prioritario delle scuole italiane. Particolarmente efficaci a questo scopo sembrano le esperienze che non separano lo studio della lingua italiana convogliandolo in momenti e spazi definiti, ma lo inseriscono nella quotidianità dell'apprendimento e della vita scolastica di tutti gli allievi, rivolgendo attenzioni specifiche e supplementari ai presenti non di madrelingua italiana.

Si può rilevare che tra i progetti di sostegno linguistico finora avviati gli interventi finalizzati all'apprendimento dell'italiano prevalgono su quelli rivolti al mante­nimento della lingua d'origine della famiglia. A questo proposito è bene ricordare che il mantenimento di una competenza effettiva nella prima lingua consente di evitare l'impoverimento della comunicazione tra genitori e figli, e di non tagliare i ponti con il mondo parentale del luogo d'origine; chi arriva da Paesi vicini (Marocco, Egitto) di solito vi torna a ogni vacanza estiva; nel caso di rientri per un lungo periodo, o definitivi, la padronanza della lingua eviterà situazioni emarginanti.

Inoltre: un'accoglienza a scuola della prima lingua contribuisce alla valorizzazione delle differenze presenti tra i banchi, e al processo di costruzione dell'autostima da parte dei bambini immigrati, che saranno portati a considerare la lingua familiare come una ricchezza e una capacità in più, e non come un vecchio bagaglio diventato inutile, da gettare via.

In generale l'attuale quadro dei programmi e dei progetti di sostegno linguistico ‑ sia della prima che della seconda lingua ‑ mostra che l'applicazione di quanto previsto in materia dalla legge nazionale e dalle circolari ministeriali è ancora scarsa in rapporto alla consistenza, alla diffusione territoriale della popolazione scolastica straniera, e all'importanza centrale della lingua come strumento d'integrazione.

Sul piano operativo e delle politiche sarà dunque auspicabile:

- estendere capillarmente il sostegno all'apprendimento dell'italiano nelle scuole di tutto il territorio nazionale con presenza di allievi stranieri;

- considerare questi programmi come una priorità da inserire nei piani dell'offerta formativa delle singole scuole;

‑ estendere l'elaborazione e l'attuazione dei progetti finalizzati a valorizzare la conoscenza e il mantenimento del patrimonio linguistico familiare.

 

4.2. La promozione del successo formativo

Nelle numerose proposte riguardanti l'analisi e la sperimentazione della categoria del diverso, proprie dell'approccio interculturale, si può rilevare un sovradimensionamento dell'aspetto culturale rispetto a quello sociale. I percorsi conoscitivi sui paesi e le culture d'origine degli immigrati, ad esempio, sembrano enfatizzare le diversità etniche, religiose, nazionali, passando sotto silenzio le differenze talvolta determinanti dovute all'appartenenza sociale, al livello culturale, all'ambiente di vita dei singoli immigrati [Perotti 1992].

L'esistenza di questi stereotipi dovrebbe indurre a usare molta cautela nella scelta delle variabili che vengono impiegate per misurare e analizzare il successo scolastico dei bambini e dei ragazzi stranieri. I dati che attualmente vengono raccolti dal ministero della pubblica istruzione si riferiscono soprattutto alle percentuali di ritardo (classe frequentata rispetto all'età) e di bocciature dei bambini non italiani raffrontate al totale della popolazione scolastica. Considerando il solo dato sulla cittadinanza non italiana si rischia però di ridurre la spiegazione del successo o dell'insuccesso a una causalità determinata dalla condizione di immigrati.

Per raggiungere una effettiva comprensione del rapporto tra minori stranieri e carriera scolastica sarebbe invece utile estendere la gamma delle variabili, raccogliendo dati sulla condizione sociale, la carriera scolastica pregressa, la scolarità e la professione dei genitori e simili. A necessario completamento del quadro dovrebbero essere considerate anche alcune variabili specifiche e diverse da quelle usate per la popolazione scolastica italiana, come ad esempio la professione dei genitori sia in Italia sia al Paese d'origine.

Per gli aspetti relativi all'insuccesso sarebbe utile applicare i metodi di analisi già ampiamente sperimentati negli studi sulla dispersione scolastica; una comparazione delle informazioni raccolte consentirebbe, in particolare, di capire quanto gli insuccessi si possano ricollegare alla migrazione e quanto riguardino invece una fascia di ragazzi, italiani e stranieri, accomunati da analoghe condizioni socio‑culturali e familiari.

E'ovvio che la sola rilevazione di dati quantitativi non è sufficiente alla comprensione del fenomeno e, soprattutto, alla elaborazione di progetti che promuovano il successo formativo degli alunni stranieri.

Tra gli elementi qualitativi appare opportuno prendere in particolare considerazione il diverso investimento dei genitori sulla carriera scolastica dei propri figli; da una ricerca condotta a Torino [Carpos 1995] risultava una diversità di atteggiamento a seconda dell'origine nazionale; le famiglie peruviane, ad esempio, consideravano il raggiungimento di una scolarità elevata per i propri figli un obiettivo prioritario, mentre i cinesi ritenevano sufficiente il compimento dell'obbligo. D'altra parte proprio il progetto familiare diffuso tra i cinesi, che preparano per i figli una strada nelle attività commerciali, mostra che la brevità della carriera scolastica non necessariamente conduce a percorsi sociali perdenti. C'è da considerare inoltre che l'immigrazione produce veloci trasformazioni in chi la vive: in pochi anni l'approccio all'istruzione e la progettazione delle carriere filiali da parte degli immigrati possono modificarsi; nessun dato è da considerare fisso né deve essere irrigidito in stereotipi.

In ogni caso sembra importante che la comunicazione tra gli insegnanti e le famiglie degli alunni immigrati sia migliorata in tutti i livelli scolastici. E da notare a questo proposito che la formazione dei docenti ha sempre riguardato quasi esclusivamente gli aspetti della didattica e della relazione educativa con gli scolari, dedicando poco spazio al rapporto con i genitori.

La costruzione di buone relazioni e l'acquisizione della fiducia da parte dei genitori appare tanto più importante, ai fini di una positiva integrazione dei bambini, quanto maggiore è la distanza tra la famiglia e l'istituzione scolastica. In particolare nel caso dei Rom la scuola assume un'importanza nodale nei processi di integrazione in quanto si può considerare l'unico luogo di incontro e di condivisione tra nomadi e gadjé.

Sul piano operativo e delle politiche sarà dunque auspicabile:

‑ raccogliere maggiori e più approfonditi elementi di conoscenza sul successo e l'insuccesso nelle carriere scolastiche degli allievi stranieri, attraverso:

a) la rilevazione di dati e informazioni sulla loro condizione sociale, economica e culturale e sul percorso migratorio;

b) indagini qualitative sull'approccio alla scuola e l'investimento nello studio da parte dei genitori;

c) la comparazione tra i dati raccolti e quelli disponibili relativi alla popolazione italiana;

‑ curare sia la comunicazione interpersonale sia quella linguistica con le famiglie; utilissimi, ma ancora rari, sono gli esempi di regolamenti scolastici e di modulistica tradotti; altrettanto importante è verificare che alla comprensibilità linguistica corrisponda l'effettiva comprensione di termini che possono risultare sconosciuti ai genitori stranieri, in quanto estranei alla loro esperienza (si pensi ad esempio all'esistenza e alla funzione degli organismi di partecipazione);

‑ potenziare in particolare le relazioni con le famiglie nomadi, avvalendosi dei mediatori rom o della mediazione di fatto di persone dal riconosciuto prestigio che vivono nei campi di sosta.

 

4.3. Nuove professionalità della scuola e apertura al territorio

Come si è detto, la professionalità dei docenti è agli inizi di una profonda trasformazione che richiede l'acquisizione di competenze e metodologie specifiche anche in relazione alle mutate caratteristiche della popolazione scolastica.

Non si potrà pretendere però che nella scuola coinvolta da molteplici cambiamenti gli insegnanti diventino dei tuttologi. Occorrerà invece potenziare su più piani l'interazione con le risorse esterne alla scuola. In ogni caso sarà importante che le esperienze di intercultura proposte dalle associazioni e dagli enti locali siano intese come sostegno per gli insegnanti, e non come occasioni di supplenza o di delega. Non esperienze volatili che passano come acqua sul vetro, ma proposte capaci di depositare nella scuola un'eredità in termini di competenze acquisite e di cambiamenti tangibili.

Occorre ancora notare che tra gli insegnanti sono riconoscibili orientamenti diversi: chi si sente soprattutto insegnante di materia e chi è più incline, per carattere e formazione personale, a ricoprire un ruolo di docente‑educatore; sarà importante quindi dare cittadinanza a entrambi, immaginando diversi strumenti e modi di collegare l'educazione interculturale all'insegnamento disciplinare [Gusso 1999].

Nonostante le varie esperienze (laboratori, corsi, ecc.) che in molte regioni, in particolare nel centro nord, hanno portato il mondo esterno nella scuola, permane la sensazione diffusa che l'istituzione scolastica resti chiusa in sé stessa e poco incline agli scambi con il territorio del quale è parte.

Tendendo al superamento di una concezione autarchica dell'insegnamento (ma anche dell'eccessiva convergenza sulla scuola di richieste e aspettative) si può proporre la promozione di una professionalità docente multidimensionale, formata dall'apporto di diverse figure, ciascuna con una propria specifica competenza, sullo sfondo di parametri, contenuti e approcci metodologici condivisi. All'interno di questa professionalità multipla, il processo di ridefinizione delle competenze del personale docente potrà proseguire di pari passo con il chiarimento delle caratteristiche professionali e del ruolo delle nuove figure educative che agiscono nella scuola (operatori delle associazioni, mediatori culturali e linguistici, animatori interculturali).

A fronte di una presenza degli immigrati che trasforma la società italiana a più livelli, e non solo dentro le aule scolastiche, appare importante inoltre concepire i progetti rivolti all'integrazione degli alunni stranieri in chiave di sviluppo della comunità locale, avviando la costruzione di pratiche di lavoro comuni e condivise tra

gli insegnanti e gli operatori sociali e culturali del territorio: una strada in più per evitare che l'isola felice (quando riesce a esserlo) dell'integrazione degli immigrati nella scuola risulti scollata da situazioni effettive di disuguaglianza che gli stranieri vivono nella società esterna [Besozzi 1999].

Per quanto riguarda gli strumenti formativi a disposizione degli insegnanti in relazione all'intercultura, nell'offerta attuale sembrano prevalere i sussidi didattici di tipo tecnico: cominciano a diffondersi opuscoli e cd rom sui metodi d'insegnamento dell'italiano come lingua 2, kit multimediali per percorsi di lavoro con gli allievi alla scoperta delle diversità, pubblicazioni e corsi che forniscono informazioni su popoli, culture, tradizioni di vari Paesi. In molti casi, però, gli insegnanti trattano contenuti interculturali con metodi poco interculturali [Invernizzi, Medi 1999]; sono minoritarie, infatti, le esperienze volte non solo a trasmettere conoscenze, ma anche a realizzare una pratica quotidiana di tolleranza, negoziazione e ascolto in cui l'insegnante ripensi il proprio ruolo, il modo in cui si pone in classe e lascia che gli alunni si pongano tra loro [ibidem]. Perciò tra le varie offerte formative sembrerebbe opportuno privilegiare ed estendere quelle che propongono agli insegnanti un lavoro a partire da sé stessi, dai propri vissuti, difficoltà, stereotipi. Percorsi che, prima di fornire strumenti di intervento, chiedano alla scuola e ai docenti di mettersi in gioco, di verificare anzitutto su sé stessi la disponibilità a modificare atteggiamenti, opinioni, modi d'agire.

Per contro l'esperienza di chi gestisce la formazione dei docenti indica che alcuni insegnanti applicano di fatto modalità coerenti con un approccio di tipo interculturale nel proprio lavoro quotidiano, pur senza riconoscerle e definirle come tali.

Sul piano operativo e delle politiche sarà dunque auspicabile:

‑ favorire le proposte di percorsi interculturali che prevedano una fase iniziale di formazione rivolta agli insegnanti e successivamente il coinvolgimento degli allievi, sulla base di un impegno comune e complementare dei docenti e degli operatori esterni;

‑ elaborare e attuare i progetti finalizzati all'integrazione scolastica degli allievi stranieri attraverso il lavoro congiunto dei docenti e degli operatori sociali e culturali, pubblici e privati, che sul territorio in cui è situata la scuola si occupano di giovani e di immigrazione. A questo scopo è possibile utilizzare gli strumenti di legge che consentono l'assunzione di responsabilità comuni di più istituzioni su uno stesso territorio o progetto (conferenze dei servizi, intese ecc.);

‑ strutturare esperienze di formazione congiunte tra insegnanti e operatori sociali e culturali del territorio.

 

4.4. La valutazione degli interventi

Nel panorama degli interventi interculturali nella scuola si può rilevare una recente tendenza a passare dall'esperienza al progetto: da iniziative estemporanee e limitate nel tempo (cicli di incontri, pacchetti di ore di laboratorio) a percorsi più strutturati, che durano tutto l'anno scolastico, e a volte hanno un'estensione biennale o triennale.

Questa trasformazione si può far risalire in parte a una necessità istituzionale, al fatto cioè che l'accesso ai finanziamenti pubblici recentemente normati imponga la presentazione di veri e propri progetti che specifichino le finalità, il metodo impiegato e i risultati attesi. Nelle scuole più attente ai cambiamenti in corso, però, la nuova tendenza ad avvalersi di interventi compiutamente progettati nasce dall'esigenza di inserire l'approccio interculturale nella programmazione scolastica in modo più profondo e continuativo, e di valutarne gli effettivi risultati. In numerosi casi, infatti, i risultati attesi dai progetti sembrano rispondere a una certa ingenuità di propositi, come ad esempio l'insistenza sull'acquisizione di informazioni su altre culture da parte degli alunni come chiave che consente di abbattere il pregiudizio.

La lettura dei progetti finora avviati mette in mostra la debolezza degli strumenti valutativi che vengono impiegati; in genere si tratta di incontri di verifica sull'andamento dell'esperienza o di relazioni scritte sul suo svolgimento; più spesso non è previsto alcun tipo di valutazione.

Sul piano operativo e delle politiche sarà dunque auspicabile avviare un lavoro di messa a punto degli impianti e dei percorsi di valutazione su più livelli:

‑ nell'ambito dei singoli progetti, l'applicazione di metodi di valutazione partecipata. Questo tipo di approccio valutativo si propone come un accom­pagnamento ai progetti, che aiuta operatori e docenti a raggiungere maggiori consa­pevolezze sul proprio operato e consente di migliorare e riadeguare progres­sivamente le azioni;

‑ nel modello di valutazione proposto gli indicatori vengono definiti da chi opera nel progetto, in relazione alle caratteristiche e alle esigenze dello specifico contesto e agli obiettivi individuati. Risulterà però altrettanto importante una definizione a livello centrale sia di alcuni ambiti (la didattica, l'apprendimento della lingua italiana, le relazioni interpersonali sono alcuni possibili esempi) sia di alcuni degli indicatori da considerare nella valutazione dei singoli progetti; in questo modo sarà possibile effettuare analisi dei progetti a livello nazionale, individuando modelli di intervento comparabili in realtà territoriali diverse;

o nella prospettiva che l'educazione interculturale diventi sempre più parte integrante della programmazione scolastica, sarà opportuno mettere a punto monitoraggi su oggetti più complessi del singolo percorso progettuale; si tratterà quindi di dotarsi di metodi e indicatori per valutare i cambiamenti complessivi che, nella didattica e nello stile educativo di ciascuna scuola e tipo di scuola, si possono mettere in relazione con la presenza degli allievi stranieri.

 

4.5. L'approccio interculturale nel futuro della scuola italiana: un'illusione ottica ?

Le esperienze interculturali attuate nella scuola offrono un panorama quantitativamente ricco e diffuso sul territorio. Ma a un esame più approfondito si può rilevare una distanza tra l'impostazione di alcuni studi e direttive ministeriali in materia, che pongono l'intercultura come tratto caratterizzante e filo conduttore della scuola dei prossimi anni, e l'effettiva diffusione e capillarità della progettazione e delle pratiche ad essa connesse nelle scuole, e in ciascuna scuola, tra gli insegnanti.

Infatti solo una parte minoritaria dei docenti risulta personalmente interessata e aderisce alle iniziative. Un aspetto che sarebbe utile valutare è anche il modo in cui questa adesione avviene; in molti casi, infatti, laboratori e attività vengono delegati completamente all'esperto esterno, mentre più di rado avviene, ciò che sarebbe auspicabile, una effettiva collaborazione.

Se si considera che con il termine intercultura non ci si riferisce a una materia in più o a un insieme di attività, ma a un approccio complessivo che caratterizzerebbe curricoli, metodi didattici, modalità relazionali, tanto più si può indicare il rischio che la nuova scuola interculturale sia in buona misura un'illusione ottica di chi se ne occupa per studio o pratica professionale.

Sul piano operativo e delle politiche sarà dunque auspicabile:

‑ rafforzare la comunicazione e verificare l'effettiva capacità di esprimere una progettualità comune tra le commissioni e gli uffici ministeriali preposti a elaborare le linee guida delle prossime trasformazioni (riordino dei cicli e aspetti connessi) egli uffici e i gruppi di lavoro che nell'ambito dello stesso ministero della Pubblica Istruzione si occupano di intercultura e di integrazione degli allievi non italiani. A questo proposito si può ricordare che nella primavera 2000 la Commissione nazionale per l'educazione interculturale è stata invitata a fornire informazioni, consulenza e documentazione alla Commissione di studio per il programma di riordino dei cieli di istruzione, che si occupa anche di produrre indicazioni sulla revisione dei curricoli. I risultati di questa collaborazione sono ancora da verificare; tuttavia dal primo documento prodotto dalla Commissione sui cicli, una sintesi di quanto elaborato dai gruppi di lavoro pubblicata nell'ottobre 2000, non si trovano accenni al carattere multiculturale della scuola italiana.

 

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1999 L'educazione interculturale nella scuola che cambia, relazione tenuta a Torino il 18 ottobre in rappresentanza della Commissione nazionale per l'educazione interculturale del Ministero della Pubblica Istruzione.

 

Perotti, A.

1992 Prefazione in Rizzi, F., Educazione e società interculturale, Brescia, La Scuola.

 

Perrone, L. (a cura di)

1998 Né qui né altrove. I figli di immigrati nella scuola salentina, Tivoli, Sensibili alle foglie.

 

Regione Lombardia, Ministero della pubblica istruzione Direzione regionale della Lombardia e Fondazione Cariplo Ismu

2000 Insieme a scuola. Alunni stranieri e attività interculturali nelle scuole della Lombardia. Seconda indagine, Milano, Quaderno Ismu 2/2000.

 

Scognamiglio, N.

1999     Educazione allo sviluppo e alla mondialità: discipline e interdisciplinarietà, in Portare il mondo a scuola, a cura di Ong Lombarde, Irrsae Lombardia, provveditorato agli studi di Milano, cit.

 

Soravia, G.

1996 Educazione linguistica, educazione interculturale e provincialismi, in Lacio Drom, n. 3

 

Zanelli, P.

1986 Uno sfondo per integrare, Bologna, Cappelli.

1998 L'organizzazione del contesto educativo, in Bambini n.9, ottobre 1998.

 

Zincone, G.

1994 Uno schermo contro il razzismo, Roma, Donzelli.

 

Note:

 

1) il concetto di sfondo integratore è stato elaborato agli inizi degli anni Ottanta nell'ambito del gruppo di lavoro di Pedagogia speciale dell'Università di Bologna, come strumento utile all'integrazione dei bambini con deficit nella scuola dell'infanzia. Dalla pratica delle scuole che lo hanno usato come base per la loro programmazione si può desumere una casistica delle modalità di intenderlo e di applicarlo: filo conduttore di tipo narrativo/fantastico (ad esempio un personaggio fisso o una storia esemplare); tema unitario (l'acqua, la carta ecc.); ambiente o scenario (la città, il bosco ecc.); sfondo istituzionale (logica che presiede all'organizzazione di spazi, tempi, regole); contenitore affettivo (modalità relazionali nella classe, «clima» complessivo). [Zanelli 1998]