il manifesto - 16 Maggio 2002
E l'operaio-immigrato non è più invisibile
Lavorano nelle fabbriche, fianco a fianco agli italiani. E con loro hanno manifestato per i propri diritti
Un giorno diverso In provincia di Vicenza ben 42 mila immigrati sono lavoratori dipendenti. Ieri hanno usato «l'arma» dello sciopero per difendersi e per mostrare l'altra faccia della Bossi-Fini

MANUELA CARTOSIO
INVIATA A VICENZA
Interno bar in piazza dei Signori a Vicenza. Al banco due sikh con il turbante, due poliziotti con il basco nero, una ghanese con le treccine, un pakistano avvolto nella bandiera della Cgil. Ai tavoli, alcuni senegalesi battezzano con la birra il primo caldo. Un po' straniti - ma neanche tanto - barista e consorte allungano il collo per capire cosa sta succedendo là fuori. Sta succedendo il primo sciopero dei lavoratori immigrati e 5 mila di loro gridano, ballano e mandano a quel paese, o in fonderia, «BossiFini». Trentatre anni fa, quando Ferdinando Dal Zovo della Filtea Cgil iniziò a lavorare in conceria, «per vedere un nero bisognava andare al circo». Adesso in provincia di Vicenza ci sono 43 mila immigrati regolari e 42 mila sono lavoratori dipendenti. Nelle concerie della Valle del Chiampo un terzo dei 7 mila addetti sono immigrati, nelle scuole di Arzignano il 19% degli alunni sono figli di immigrati e l'economia del Veneto - la stima è della Confidustria - avrà bisogno ogni anno di 25 mila nuovi immigrati. Ecco spiegato perché è «naturale» che a Vicenza contro la legge Bossi-Fini sia stata usata per la prima volta «l'arma di chi lavora», lo sciopero. I padroni, racconta Dal Zovo, non l'hanno presa bene. Ma come? Sono sempre lì a piangere, a chiedere d'allargare le quote perché senza immigrati non riescono a mandare avanti la baracca. Fossero coerenti, dovrebbero pagare la giornata doppia a chi sciopera contro una legge che gli immigrati li fa entrare con il contagocce. I padroni prima di tutto sono padroni, spiega il sindacalista, disposti a manifestare contro la Bossi-Fini «di domenica», ma lo sciopero quello no, «non vogliono rimetterci la produzione in un periodo in cui stanno già soffrendo per le lotte». Conferma il ghanese Beniamino, dipendente di un maglificio dove i venti immigrati hanno scioperato compatti: «il padrone non era contento di perdere le nostre otto ore». Gli altri, gli «italiani», si sono fermati una mezzoretta. Beniamino, in 16 anni, di contributi ne ha lasciati giù parecchi. Allude al gruzzolo - che la legge scippa agli immmigrati che tornano al paese d'origine prima di maturare la pensione - il cartello che ha portato al corteo: «Bossi-Fini don't steal our money». Un senegalese con la maglietta di El Diouf, stella del calcio africano, i contributi non li ha mai visti. E' «senza documenti» da tre anni, lavora in nero nelle imprese di pulizia, non riesce a mandare soldi a casa. Lui sciopera contro la Bossi-Fini «per la libertà di tutti i clandestini». Dall'alto dei suoi 18 anni d'anzianità migratoria e con la cittadinanza italiana in tasca, il marocchino Abderkahim El Kouri sullo striscione ha scritto Sì badrone per dire «con ironia» che gli immigrati non sono braccia al lavoro e testa china «come vorrebbero i padroni». Lo incontriamo mentre il corteo passa di fronte alla Questura (dei gazebo riparano dal sole chi fa la fila, a giorni sarà inaugurata una nuova palazzina): «Quanto ho sofferto in quel posto con le carte che non andavano mai bene, ti trattano sempre con sospetto anche se sei qui da un pezzo, ti ricacciano sempre nella paura». Lui, dopo anni in fabbrica, è socio di una «vera» cooperativa sociale. Ha seri dubbi che gli imprenditori siano realmente contro la Bossi-Fini: «Vogliono più immigrati, ma per tenerli alla catena dei loro bisogni». Con il contrattato di soggiorno potranno farlo e si aprirà la strada alla contrattazione individuale, «un pericolo per tutti, anche per i lavoratori italiani». E, allora, perché lo sciopero, formalmente di tutti, di fatto è stato uno sciopero solo dei migranti? C'era il timore che gli autoctoni non aderissero? Nessuna paura, risponde il segretario della Cgil di Vicenza Gianni Zanni, in tutti i luoghi di lavoro si sono fatte assemblee, le fermate di un'ora ci sono state. Il sindacato ha deciso di rendere visibile con lo sciopero il lavoro e il protagonismo degli immigrati, ha voluto evidenziare che la Bossi-Fini è l'altra faccia dell'attacco all'articolo 18. La riuscita dello sciopero e la bellezza della manifestazione sciolgono le riserve della vigilia su un'iniziativa «etnica» di lotta. Gli immigrati del vicentino, pur abituati a scioperare, ieri l'hanno fatto con una determinazione e un coinvolgimento particolare. In corteo c'erano molte donne, soprattutto ghanesi, operaie nelle concerie e nelle confezioni; indiane con il sahari, bambini di tutti i colori e anche la moglie in djellaba - «l'ho messa per venire alla manifestazione», precisa - di un metalmeccanico marocchino. «Ora stiamo abbastanza bene», dice Khalil, il marito, indicando i due bambini nati in Italia, «di ostacoli ne abbiamo dovuti superare tanti, adesso con questa legge tutto potrebbe tornare in alto mare». «Anche un cane abbandonato d'estate dal padrone», aggiunge Khalil, «è libero di scegliere dove andare. Noi immigrati, invece, se perderemo il lavoro saremo costretti a tornare nei nostri paesi». Per spiegare ai vicentini perché la Bossi-Fini non va bene, Khalil direbbe così: «E' una legge che costringe gli immigrati ad essere criminali. Se davvero volete più sicurezza per voi, dovete dare più diritti agli immigrati».Lo striscione dell'acciaieria Valbruna è retto da lavoratori bianchi, immigrati pure loro. Sono giovani del Sud, chiamati a Vicenza da un padrone meridionale. «Questa legge è bruttissima», dice Luciano Alari, «mi sembra di risentire le storie dei nostri genitori. Si sta andando a ritroso, prima con le idee, poi con i fatti. Noi gli extracomunitari li capiamo bene». I vicentini doc, mediamente ancora molto leghisti («I veneti non sono italiani», è scritto su un manifesto elettorale), cosa capiscono degli immigrati e come li trattano? «Sabato a una festa - risponde Ferdinando Dal Zovo - ho notato tre coppie miste. Le cose stanno cambiando, la realtà ha una sua forza. Magari si continua a votare in un certo modo, ma l'utilità del lavoro degli immigrati è un argomento che tappa la bocca». Gli immigrati sono veloci a imparare sia il lavoro che la lingua. «Imparano subito anche i nostri vizi. Gli straordinari li vogliono fuoribusta per non pagare le tasse».