da " La Repubblica"

21 gennaio 2001

L’immigrato perfetto è invisibile

Beniamino Placido

La «dissonanza cognitiva»: cosa sarà mai? Sarà mica come quelle figure della retorica (la metafora, la metonimia, la sineddoche) che usiamo anche noi ogni giorno, magari senza rendercene conto; che ogni giorno incontriamo per strada, ma che non siamo in grado di riconoscere anche quando sono esplicite, spudorate? S’intende per «dissonanza cognitiva» — scoperta e descritta dall’americano Leon Festinger nel 1957 — la compresenza dolorosa, fastidiosissima nello stesso individuo di due voglie (due convinzioni, due trazioni) opposte e del tutto inconciliabili. Forse non a caso è stata messa a punto in America, da un americano. E in quegli Anni ‘50 che videro insieme il trionfo della magrezza femminile (come modello) e della società «affluente» con la sua grande abbondanza di beni di consumo e di cose da mangiare. Sicché la povera donna americana («povera» anche se ricchissima) era esposta da un lato ai lauti pranzi, ai lauti ricevimenti dove i tavoli traboccavano di leccornie, e dall’altra all’imperativo categorico di essere, mantenersi o diventare magra. Altrettanto accadeva in Europa, naturalmente, dopo un po’. «Dissonanze cognitive» da ogni parte, in uomini, donne e bambini. Naturalmente furono subito inventate e messe in commercio delle cure per attenuare questa angosciosa opposizione, degli strumenti per «ridurre la dissonanza cognitiva» (così si diceva fra persone informate). E quindi cure dimagranti rapide e miracolose che consentivano di mangiare tanto e di non ingrassare per niente. Pillole di vario colore capaci di operare lo stesso miracolo; palestre attrezzatissime, modernissime, nelle quali si entrava dopo essersi rimpinzati di patate fritte e dalle quali si usciva dopo un’ora come se si avesse bevuto solo un bicchier d’acqua. Eccetera. La «dissonanza cognitiva» alla quale ci riferiamo oggi è tutta diversa. Risiede e prospera soprattutto nelle regioni del Nord e del Nordest. Dove proliferano quegli imprenditori piccoli e grandi che hanno avuto il merito di creare una società ricca di tutto, molto «affluente». Non senza l’aiuto di quella mano d’opera immigrata, spesso di colore non proprio bianco, ma prontissima sempre a fare dei lavori meno gradevoli nelle fabbriche, nelle fabbricone e nelle fabbrichette. Questa manovalanza così comoda nella sua quieta efficienza, gli imprenditori del NordNordest la vogliono, ne vogliono sempre di nuova, di più. Ma c’è qualcuno, da quelle parti (siamo quasi certi che si tratti di uno soltanto, ma parla forte, ma si fa sentire) che questi immigrati così colorati non li sopporta quando li vede in giro per andare a comprare il latte, per fare una passeggiata, per andare al cinema. Affetto da continui attacchi di «dissonanza cognitiva» l’imprenditore piccolo o medio di cui sopra (al singolare, perché siamo sempre più certi che si tratti di uno soltanto) protesta a voce alta: «Cosa vogliono? Cosa fanno? perché non si rendono, non dico inesistenti, ma quanto meno invisibili?». E intanto li trattiene nella sua fabbrica. E guai a chi glieli porta via. Ne vuole anzi degli altri. Possibile che non ci sia un metodo per ridurre questa clamorosa «dissonanza cognitiva»? Certo che c’è. Basta ricorrere alla scienza che può tutto, se solo vuole. Come si è visto in una recentissimo film americano: L’uomo senza ombra di Paul Verhoeven, al quale hanno lavorato, duecentottanta esperti di effetti speciali per rendere un uomo del tutto invisibile. E ci riescono. Ma è troppo costoso, evidentemente. Molto meglio, se possibile, inventare un anello da infilare al dito, e da girare finché non rende invisibile chi lo porta. Un anello del genere è stato inventato e messo in opera (ne sono certo) più di una volta. Ma la prima, la meglio raccontata di tutte, la troviamo nella cultura greco antica: in Erodoto e in Platone (la Repubblica Libro II) dove si narra la storia del magico "Anello di Gige". Il quale Gige, sia detto tra noi, era un bel mascalzone. Non si è ancora infilato al dito l’anello del Re che già va — invisibilmente — a insidiare la Regina. L’invisibilità sarà bella, ma assicura anche l’impunità, ci dice Platone. E fa nascere voglie pericolose in tutti. Ma Platone scriveva in greco (antico). E il greco antico non è affatto di moda, nel nostro Nord, Nordest. Nessuno lo deve più studiare. Nessuno lo studia più: tanto a che serve? Già, a che serve? Serve a non ospitare in cuore sentimenti incoerenti e contraddittori. Desideri intimamente contraddittori. Dissonanze clamorosamente contraddittorie. A questo serve.