da "La Repubblica"

del 12 agosto 2000

MEMORIA PERDUTA

di BERNARDO VALLI

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NELLE ultime ore l'attualità, nel nostro Paese, sembrava dominata da un improvviso "scontro di civiltà": da un lato la nostra società depositaria di tante ricchezze e virtù, dall'altra il resto del mondo che la minaccia. La reazione di un'adolescente, impigliata nel doloroso e spettacolare dramma di un'ennesima coppia mista in crisi (lei italiana e lui egiziano), è stata presentata e interpretata come un proclama sull'incomunicabilità tra cultura occidentale e orientale. IL COMPRENSIBILE lamento della giovane è risuonato come una sentenza: "Non sposerò mai un arabo". Chi ha un po' di memoria ricorda che ai tempi delle nostre grandi migrazioni interne, in direzione Sud-Nord, negli anni Cinquanta-Sessanta, l'attualità era generosa di drammi (e tragedie) di coppie i cui figli non potevano ricorrere alle ambasciate, perché tutto si svolgeva sul patrio suolo e tutti avevano la stessa nazionalità. Adesso risulta assurdo che anche allora si accennasse a uno scontro tra due culture. Un giorno sorrideremo di quel che pensiamo o diciamo oggi, quando da un caso specifico i mass media ci spingono a trarre una morale universale e definitiva. L'impressione di vivere in una società senza memoria, e al centro di uno scontro tra culture, anzi tra razze, si è poi rafforzata, ieri, quando sul teleschermo, tra i titoli del Tg1 (delle 13,30), ne ho letto uno vistoso che mi ha stupito: "Pericolo giallo". Ho avuto un sussulto. Ho pensato a un abbaglio. Forse la rapidità delle immagini non mi aveva dato il tempo di leggere bene. Ma non mi ero sbagliato. Il "pericolo giallo" è costituito dai cinesi annidati ai confini e pronti a investire il nostro Paese. Possibile che nella folta redazione del più seguito notiziario nazionale non si sappia che quell'espressione appartiene al vocabolario razzista? Lo stesso trito glossario, in voga in epoche lontane (ma non tanto remote da poter essere dimenticate), etichettava le varie insidie che gravavano sulla razza ariana: se il pericolo ebraico si manifestava attraverso le idee dei rivoluzionari o il denaro dei grandi finanzieri, non era insomma rappresentato da travolgenti masse umane ma da individui perfidi, il pericolo giallo evocava al contrario orde barbariche provenienti dall'Asia (di cui l'Europa era un'indomita, piccola, civile appendice). Ed ecco che il pericolo giallo si annida adesso, appunto, nei vicini Balcani (già fonte di tanti veleni). La Cina ha cambiato spesso posto e natura nel nostro immaginario. Essa si trasforma da secoli, puntualmente, nelle menti occidentali: e i mutamenti non corrispondono sempre a quelli reali. E' capitato anche, più volte, che suscitasse opinioni opposte, che fosse vista con occhi diversi. Voltaire l'ammirava mentre il suo contemporaneo Montesquieu vi scorgeva tutti i difetti. Si pensi a quel che è accaduto in tempi più recenti quando a Pechino regnava il Grande Timoniere. Adesso la superpotenza americana guarda spesso la Cina come un inevitabile avversario (la futura superpotenza da affrontare) e al tempo stesso come la più promettente area economica in espansione su cui piantare le bandierine di McDonald e Microsoft. I giudizi contrastanti o contraddittori sulla Cina si perpetuano: alcuni vi vedono le continue violazioni dei diritti umani, altri un sistema che, al contrario di quel che è accaduto in Russia, riesce a trasformarsi, politicamente ed economicamente, con straordinaria abilità. Quel titolo del Tg1 (il "pericolo giallo") gettato in faccia agli italiani in vacanza ha probabilmente cancellato, almeno per qualche istante, i superbi grattacieli di Shanghai, più alti di quelli di Manhattan e di Chicago, e ha fatto pensare a colonne di cinesi affamati di lavoro e di pane decisi a sfondare le frontiere per toglierci un po' del nostro benessere. Altre immagini recenti, quelle dei cinquantotto clandestini trovati morti in un container, a Dover, avevano appannato a fine giugno l'idea che uno può avere della Cina del 2000. Ma è proprio la vicenda di quei cinquantotto cinesi, trovati asfissiati sotto uno strato di pomodori, che ci aiutano a intravedere la verità composita di quella nazione-continente. I braccianti (morti) di Dover arrivavano dalle zone costiere della Cina. In particolare dal Fujian, una delle province che più hanno usufruito della crescita economica dell'ultimo ventennio (e la crescita cinese è la più alta registrata nella storia dell'economia moderna). Ting Jiang, da cui provenivano molti di quei poveracci asfissiati, è una località in cui i telefoni cellulari trillano a tutti gli angoli delle strade, dove i bambini sono ben vestiti e non mancano le ville con piscina. E' chiamato il "villaggio delle vedove" perché si valuta che l'ottanta per cento degli uomini tra 20 e 40 anni siano partiti in Australia, in Giappone, in Europa e negli Stati Uniti. Quasi tutti clandestinamente. All'estero, soprattutto negli Stati Uniti, possono contare su parenti e amici, anch'essi originari del Fujian, e di solito riescono a mandare a casa somme di denaro che non avrebbero mai potuto guadagnare in patria, nonostante il relativo nuovo benessere. Ting Jiang è un centro di attività industriali e artigianali dinamiche, che lavorano per il Giappone, dove risiede molta gente del Fujian. Gente che lavora e che contribuisce a diffondere i prodotti della provincia. I viaggi dei clandestini costano cari. Ma equivalgono a investimenti che possono dare buoni frutti. Il prezzo può raggiungere i 50 milioni, se la meta è l'America, meno se è l'Australia o l'Europa. Il pagamento è rateale. Avviene nella stessa Ting Jiang, dove risiedono gli organizzatori, in ville con piscina e garage. Un giovane che non tenta l'avventura all'estero è giudicato male. Il viaggio clandestino può durare mesi e di solito segue itinerari imprevisti, zigzaganti e non privi di rischi. A Ting Jiang le madri e le "vedove" tengono il cellulare a portata di mano. Il figlio o il marito in viaggio può sempre chiamare. E possono anche arrivare cattive notizie. Come quelle da Dover. Visto che si parla ancora di "pericolo giallo", è bene dargli un volto.