da Febbraio 2001

LE MONDE diplomatique

POLIZIA, VIGILANTES, GIUSTIZIA

L'ossessione della sicurezza

L'«insicurezza» (e la voglia di garantire «sicurezza», altra faccia della stessa medaglia) sono diventati ormai i temi centrali di tutte le campagne elettorali, in Francia come in Italia. Da quando la sinistra si è affidata ai mercati e a una politica economica e sociale subordinata, è all'ambito della sicurezza che essa circoscrive il suo «bisogno di stato», sottraendo alla destra i suoi temi tradizionali. Si spiega così l'importanza crescente di questo tema nella vita politica dei paesi occidentali. Davanti all'inquietudine suscitata dalla criminalità e da un assetto urbano in crisi, i responsabili di governo e le loro reti mediatiche occultano i moventi economici e sociali di queste evoluzioni. Preferendo aumentare i mezzi a disposizione della polizia o, come negli Stati uniti, orientare l'azione «civica» verso il controllo sociale e i pattugliamenti dei volontari. di

ERIC KLINENBERG*

«Intravedo un mondo in cui la polizia diventa il pubblico, e il pubblico la polizia» (Joseph Brann, direttore della polizia di comunità, COPS). Sono le sei del pomeriggio di un caldo giorno di agosto: più di venti residenti di un quartiere abitato prevalentemente da cechi e ispanici si radunano in una piccola sala del municipio del West Side di Chicago. Discutono vivacemente con alcuni funzionari di polizia venuti ad informarli sulla situazione della criminalità nella città. I residenti si lamentano dei teen-agers che scorrazzano per le strade e delle sparatorie notturne; domandano che li si protegga dai clienti violenti di un bar locale; reclamano una migliore illuminazione di alcune vie buie e deplorano i problemi dati da un palazzo abbandonato. I funzionari replicano che la protezione del quartiere non dipende solo dalla polizia: «Non possiamo riuscirci da soli - precisa il tenente responsabile del settore - . È un problema che riguarda sia noi che voi. Dobbiamo gestirlo insieme». La piccola folla annuisce scuotendo la testa. Questi discorsi, li ha già sentiti. È dal 1995 che la polizia locale organizza senza sosta in tutti i quartieri di Chicago incontri mensili di questo tipo, diventati ormai la forma di interazione più aperta e popolare tra la forza pubblica e la «società civile». Versioni moderne della tradizionale riunione comunale o municipale (town meetings), questi incontri sono, in conformità con l'etica contemporanea, amministrati e dominati dalla polizia. Quasi 6.000 abitanti di Chicago vi partecipano ogni mese, circa 60mila assistono ad un incontro all'anno e quasi 250mila vi si sono recati almeno una volta negli ultimi quattro anni. (1) L'isolamento dei loro compatrioti intriga gli intellettuali americani. Montagne di best-seller affermano che la solitudine sociale ha ormai tolto valore a quel volontariato associativo, a quell'attivismo civile che tanto impressionarono Tocqueville. Dopo essersi avventati sulle villette unifamiliari nei sobborghi, essersi rinchiusi in comunità private (2) e aver reclutato pattuglie di vigilantes preposte al controllo delle strade, mentre loro rimanevano incollati alla tv, gli americani si lamentano della crisi della loro comunità. E si chiedono come abbiano potuto allontanarsi tanto gli uni dagli altri. L'estate scorsa, la pubblicazione del libro del politologo Robert Putnan, Bowling Alone, che ha usato la crisi delle sale da bowling come metafora per un'atomizzazione sociale sempre più generalizzata, ha riaperto il dibattito sul declino della vita pubblica americana. Ma la maggior parte di coloro che sono intervenuti nella discussione non sembravano essersi accorti che una nuova forma di governo e di organizzazione comunitaria - la cosiddetta polizia «civica» - si stava diffondendo in tutti gli Stati uniti. «I cittadini vogliono essere coinvolti nella vita della loro comunità. La polizia di comunità (community policing) fornisce loro questa opportunità», ha spiegato Joseph Brann. Più del 90% dei commissariati americani ha ricevuto fondi federali destinati alle polizie comunitarie. Nel paese, fioriscono associazioni simili di vario genere, dal sistema di vigilanza del quartiere (neighborhood watch) e di pattuglia delle strade alle strutture pubbliche che hanno lo scopo di far avvicinare la polizia e i cittadini. Gli americani sono attratti dalle forze di polizia comunitaria perché permettono di conciliare i desideri apparentemente contraddittori di sicurezza privata e di aggregazione collettiva, che rappresentano il fulcro della cultura politica nazionale. La paura del crimine, a lungo considerata un ostacolo all'azione collettiva perché provocava un ripiegamento generale sul proprio universo e sulle proprie paure, è diventata un motore di integrazione sociale e di rinnovamento civico. Un motore, tuttavia, un po' particolare: con l'attuale ondata di arresti e detenzioni, e la loro precisa caratterizzazione sociale e razziale, la «comunità» fa sentire la propria voce, controllando ed escludendo tutti coloro non ritenuti degni o capaci di farne parte. Il programma di Strategia alternativa della polizia di Chicago (Chicago Alternative Policing Strategy, Caps) costituisce il sistema di polizia comunitaria più elaborato del paese, ed è diventato un modello internazionale per tutte le metropoli affascinate dalla «riforma». Dietro la guida del sindaco Richard M. Daley, Chicago ha trasformato la sua polizia comunitaria in uno strumento efficace che permette allo stesso tempo di consolidare i legami sociali nei quartieri della città, rinnovare le opportunità di accesso ai servizi pubblici e coordinare in modo migliore il lavoro delle agenzie governative. I funzionari della polizia di quartiere sono ormai i rappresentanti dello stato più conosciuti e accessibili. E la loro parola d'ordine «Insieme possiamo» sembra riassumere alla perfezione l'ambizione di una città in cui, almeno nei sogni del sindaco, ogni cittadino dovrebbe dedicare parte della propria esistenza al pattugliamento (3). Anche se queste riunioni sono incentrate su questioni di sicurezza, i residenti non mancano di sollevare problemi più generali (qualità delle scuole e delle infrastrutture locali). I funzionari di pubblica sicurezza incoraggiano gli abitanti a partecipare regolarmente a questi incontri: «Dovete essere qualcosa di più degli occhi e delle orecchie della polizia - ha spiegato un sergente durante una riunione a cui abbiamo assistito - partecipate alla vita del vostro quartiere. Quando si apre un processo contro uno dei malviventi che vi disturbava, andate in tribunale e reclamate pene più severe da parte dei giudici. Mobilitate il vostro condominio, fate sentire la vostra presenza, sorvegliate il quartiere e pattugliate le strade». Al termine dell'intervento del sergente, un abitante del quartiere si è alzato in piedi per rincarare la dose: «Sono vecchio e non molto istruito. Ma quando vado in tribunale, vedo che per il giudice conta qualcosa se ci mostriamo veramente preoccupati per la nostra sicurezza. Non potete immaginare quanti buoni risultati si possono ottenere». Per incoraggiare la partecipazione dei cittadini a queste riunioni, Chicago ha finanziato (con appositi fondi federali) l'assunzione di 70 persone, 50 delle quali si recano regolarmente nei quartieri per ricordare agli abitanti la data degli incontri e promuovere i progetti di polizia comunitaria. Uno di questi organizzatori ci spiega: «Il nostro lavoro consiste nel trovare punti di appoggio fidati nella comunità. Andiamo nelle chiese e nelle scuole, a caccia di leader locali da formare. E incoraggiamo forme di partenariato tra le organizzazioni di quartiere e la polizia». Per rendere la cooperazione «civica» ancora più attraente, le autorità municipali hanno recentemente creato un sistema di priorità destinato ai residenti che hanno già stretto legami con la polizia. Le loro richieste vengono esaminate dai servizi municipali con una celerità e una benevolenza particolari: rimozioni d'auto, cancellazione dei graffiti dai muri, demolizione di palazzi abbandonati, riparazione di strade e semafori. «Tutti possono accedere ai servizi municipali - ci spiega un funzionario comunale - ma diciamo che partecipare ai Caps rende l'intervento più rapido». Mentre una richiesta formulata da una persona o da un gruppo poco propenso a cooperare con le nuove azioni «civiche» della città verrà esaminata con meno prontezza. È il bastone e la carota: Chicago aiuta chi aiuta la polizia. I militanti delle associazioni locali si preoccupano nel vedere che le riunioni che vertono sulla sicurezza si sostituiscono progressivamente ad altri tipi di interventi sul campo, e cominciano ad influire sulle priorità delle organizzazioni di quartiere. Alcuni responsabili locali contestano i privilegi accordati alle persone impegnate nelle attività di polizia comunitaria. La città, già nota per la sua cultura politica di quartiere e per la vicinanza dei dirigenti politici alla loro base, sta forse delegando alla polizia l'autorità dei rappresentanti municipali? La «democratizzazione» delle funzioni repressive dello stato provvederà forse a dare legittimità al più grande boom carcerario della storia degli Stati uniti? Gli architetti dei primi progetti di polizia di quartiere non avrebbero mai immaginato una simile evoluzione. Negli anni 70, un gruppo di riformisti illuminati ha concepito la polizia di comunità come un mezzo per avvicinare i commissariati ai cittadini e facilitare la prevenzione di eventuali problemi. Alcuni dirigenti di associazioni, difensori dei diritti civili, insoddisfatti dei metodi abituali dei poliziotti - e preoccupati dall'approccio punitivo al problema della droga - si sono fatti sostenitori della polizia comunitaria. La consideravano un mezzo per imporre alla polizia locale una qualche forma di controllo civico e di democratizzazione. I militanti dei diritti civili progressisti non erano gli unici soggetti sociali desiderosi di promuovere un cambiamento dei metodi delle forze di polizia. Abbastanza rapidamente, altri gruppi, compresi i sostenitori conservatori dell'«ordine pubblico», hanno preso la palla al balzo, dando il loro apporto al movimento per la polizia comunitaria. All'inizio degli anni 90, il movimento riunì una così vasta gamma di attivisti da riuscire facilmente a conquistare l'attenzione dei vertici dello stato, offuscando dietro un'ampia partecipazione la vaghezza del concetto stesso di polizia comunitaria. Un concetto diventato oggi onnicomprensivo, utile a promuovere indifferentemente la repressione delle «gangs» di strada (4), le giurisdizioni «terapeutiche» (tribunali per crimini di droga, per la violenza coniugale, per i minori), le pattuglie, i raid polizieschi che si avvalgono di supporti informatici, la detenzione di massa e le misure alternative. La flessibilità del concetto di polizia comunitaria viene usata dalle amministrazioni cittadine per dare risposta contemporaneamente alle richieste più contraddittorie. Facendo riferimento a tale concetto, Daleyü nella sua ultima campagna elettorale, ha potuto soddisfare tanto le minoranze razziali favorevoli ad una riforma della polizia, quanto i conservatori che chiedevano un inasprimento delle misure repressive. E ha potuto ottenere per la sua città una parte dei fondi federali destinati a programmi di questo genere, ritenuti un elemento di rivitalizzazione della vita civica. Il sindaco e i consiglieri comunali di Chicago si sono mostrati tanto più solleciti nel richiedere i fondi destinati al mantenimento dell'ordine in quanto il presidente Clinton e il Congresso, negli anni 90, hanno imposto una severa riduzione dei finanziamenti alle altre agenzie governative. La Legge contro il crimine, votata nel 1994 da un Congresso a maggioranza democratica, ha stanziato 30 miliardi di dollari per finanziare i nuovi programmi di repressione e di giustizia criminale. Gli effettivi delle forze dell'ordine sono aumentati di 100mila unità. Nello stesso momento in cui dava il suo consenso all'abolizione dei sussidi pubblici federali per i più poveri e alla riduzione dei buoni alimentari, Clinton faceva capire alle agenzie e alle associazioni prive di fondi che avrebbero potuto trovarne di nuovi grazie alla polizia. Più che dalla ridistribuzione, la sicurezza sociale sarebbe stata garantita dalla repressione (5). Dal 1994, i fondi destinati alla lotta contro il crimine approvati dal Congresso hanno irrorato la forza pubblica praticamente ad ogni livello. A Chicago, Joseph Brann spiega così gli obiettivi della sua agenzia: «Dobbiamo ristrutturare le nostre organizzazioni per fare fronte a nuove sfide. Non è più sufficiente pensare al mantenimento dell'ordine come compito esclusivo della polizia. La polizia deve agire nel quadro più ampio del governo comunitario». I responsabili municipali e le associazioni locali hanno adattato la loro azione di conseguenza. Una responsabile del Caps ci confida: «Rendere la città più sicura è diventato il principio cardine dell'organizzazione della vita urbana». Parole confermate dall'entità del bilancio annuale della polizia municipale (1 miliardo di dollari), di gran lunga superiore a quello delle altre istituzioni cittadine. Il sindaco, da parte sua, assimila allegramente polizia e qualità della vita, ed è nell'ambito di quest'ottica di sicurezza che definisce le missioni affidate ai vari funzionari posti sotto la sua autorità. In passato, la polizia aveva un ruolo più ridotto nel governo della città: si limitava a garantire il mantenimento dell'ordine quando veniva infranta la legge. A partire dagli anni 90, la presenza di 200 milioni di armi da fuoco, il crescente sentimento di insicurezza e il sostegno generalizzato all'idea di un aumento delle funzioni repressive dello stato hanno spinto i responsabili politici a delegare alle forze di polizia l'elaborazione di un fondamento per la società americana, costituito essenzialmente dalla sicurezza. E i risultati sono incoraggianti: a Chicago, ad esempio, il programma Caps di polizia di quartiere ha ridotto la criminalità e migliorato il rapporto tra cittadini e autorità municipali. In un rapporto pubblicato nel 1999 dal servizio informativo della giustizia criminale dell'Illinois si può leggere: «La città di Chicago ha sensibilmente sviluppato una dinamica di coinvolgimento del pubblico nella sicurezza dei quartieri. I programmi di polizia comunitaria sono noti a tutti i residenti, o quasi; coloro che vi partecipano la giudicano efficiente. Il tasso di partecipazione alle riunioni è sempre piuttosto elevato, anche nei quartieri più poveri e pericolosi (6)». Possiamo tuttavia interrogarci sul significato di un'evoluzione sociale e di una politica che mettono i programmi di polizia comunitaria al centro della vita democratica americana. Gli investimenti destinati al mantenimento dell'ordine hanno portato ad un calo dei finanziamenti di programmi di protezione sociale di tipo redistributivo. E, man mano che lo stato stanziava miliardi di dollari per finanziare la sua macchina repressiva, ha delegato al settore privato le sue reti di servizi sociali e alla polizia le funzioni di tutore della vita pubblica. Ma la polizia non ha la minima vocazione, né il minimo interesse, a soddisfare le esigenze sociali e comunitarie delle città americane. La sua principale missione (la tranquillità delle strade) e i suoi metodi di addestramento non la rendono adatta ad un simile compito. Cosa ancora più importante, la promozione della polizia ad agente di integrazione sociale segna un'evoluzione inquietante verso una società in cui la diffidenza, il sospetto e la paura diventeranno le forze trainanti della politica e della cultura. La polizia comunitaria si rivela efficace quando si tratta di promuovere riforme strutturali nelle istituzioni preposte al mantenimento dell'ordine. Quando è invece concepita come un modello di rinnovamento della vita civile, rappresenta la forma più disperante e perversa di democrazia. Gli americani, che non vanno più come una volta a giocare a bowling in gruppo, pattugliano insieme con entusiasmo le strade dei propri quartieri. Ma è davvero questo il tipo di «comunità» di cui hanno bisogno? note: *Professore di sociologia alla Northwestern University (Illinois - Stati uniti) (1) In Community Policing in Chicago, Years Five and Six: An Interim Report, p. 3. (2) Si legga Robert Lopez, «Hautes murailles pour villes de riches», Le Monde diplomatique, marzo 1996. (3) Su Chicago e la sua organizzazione sociale e razziale, si legga Serge Halimi, «Un piccolo angolo di paradiso ben difeso», Douglas Massey, «Sguardi sull'apartheid americano», e Eric Klinenberg, «Autopsia di un'estate omicida a Chicago», Le Monde diplomatique/il manifesto, rispettivamente aprile 1994, febbraio 1995 e agosto 1997. (4) Si legga Sudhir Venkatesh, «Giovani alla deriva nelle città americane», Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 1994. (5) Si legga Loòc Wacquant, «Quando Clinton "riforma" la povertà», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1996. (6) Community Policing in Chicago, Years Five and Six: An Interim Report, op. cit., p. 107. (Traduzione di S.L.)