A proposito delle polemiche sui bandi Agec che riducono o addirittura annullano le possibilità per gli immigrati di ottenere l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica

Carlo Melegari, direttore del Cestim e membro della Commissione Migrantes della Diocesi,
per Verona Fedele 10 febbraio 2008

“Non è solo la precarietà del lavoro a minare la stabilità delle famiglie immigrate. Non è raro che persistano nei loro confronti discriminazioni che si manifestano nella condizione degli alloggi, situati nei settori fatiscenti delle grandi metropoli. (…) La politica degli alloggi dovrà prevedere un’equa distribuzione di case popolari senza discriminazione di sorta. (…) L’impegno a realizzare una vera uguaglianza e la volontà di tutelare i settori sociali più deboli, verso cui spesso confluiscono discriminazioni e razzismo, portano alla costruzione di una società più giusta e quindi più umana. (…) I problemi dei migranti sono spesso comuni alla società in cui essi vivono. Dappertutto infatti esiste il problema degli alloggi, del lavoro, della sicurezza sociale, ecc. Ma la situazione di precarietà del migrante ingrandisce enormemente quei problemi comuni. E’ compito delle autorità provvedere per tutta la collettività, evitando accuratamente ogni possibile discriminazione a danno dei migranti”.
Queste affermazioni vengono dal magistero sociale di Giovanni Paolo II e si trovano, con tante altre dei Papi precedenti, del Concilio Vaticano II e degli Episcopati di tutto il mondo, nell’ Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni –Documenti magisteriali ed ecumenici sulla pastorale della mobilità umana (1887-2000), a cura della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana (Bologna, Edb, 2001, pp 1842). Sono precisamente riportate ai numeri 733, 734 e 761 della raccolta. E’ difficile vederle come il quadro valoriale di riferimento per le dichiarazioni che il Presidente dell’Agec della nostra città ha fatto nei giorni scorsi a proposito delle attese che avrebbero gli immigrati di essere trattati allo stesso modo degli autoctoni: “Prima le case ai veronesi. E poi, se ne restano, anche agli stranieri. (…) Arrivano qua, come tutti quei rumeni o quei rom…senza un lavoro, senza un reddito fisso, con 4-5 figli a carico, e vogliono la casa. E’ ovvio che in queste condizioni superino gli altri in graduatoria. Ed è proprio per questo che noi abbiamo inteso privilegiare i residenti (italiani). E’ giusto che anche loro (i residenti stranieri) facciano la gavetta, che maturino i diritti e poi, ripeto, avranno anche loro accesso alla casa.”
Privilegiare nell’assegnazione annua delle poche decine di alloggi popolari disponibili i residenti italiani con punteggi voluti appositamente come irraggiungibili dai residenti stranieri, significa - a detta dello stesso Presidente dell’Agec – che “gli immigrati non presenteranno nemmeno più le domande”. Domande che, non potendo esprimersi, cesseranno allora anche di fungere da indicatore statistico certo del bisogno di casa che gli immigrati hanno incomparabilmente superiore a quello dei residenti autoctoni di lunga data, proprio per la precarietà della condizione loro di ultimi arrivati, costretti ad una “gavetta” abitativa fatta di squallore e degrado in ambienti spesso sovraffollati, promiscui e malsani.
Invitato da Verona fedele, il settimanale che fa opinione pubblica “cattolica” in Diocesi, ad esprimere un parere di merito sulle polemiche che hanno accompagnato la denuncia dei giuristi dell’Asgi per quanto di evidentemente discriminatorio si trova nelle Delibere Agec n.4 e n.23 del 2007, dico anzitutto che della denuncia condivido in pieno le argomentazioni. E per queste rimando al testo integrale dell’esposto, che è accessibile a tutti nella hp del sito www.cestim.it . Mi permetto di conseguenza, con quella “franchezza” e quella “libertà di parola” che vengono raccomandate dal Libro Sinodale della Diocesi di Verona (ai numeri 156 e 157), di manifestare - di fronte alle dichiarazioni del Presidente dell’Agec (e a quelle analoghe del Sindaco di Verona) - tutto l’imbarazzo e il disagio dei molti che nella comunità cristiana veronese sono impegnati “nello sviluppo di una città solidale, nello sviluppo di comunità locali accoglienti centrate sulle politiche di integrazione delle differenze (…), in difesa di coloro che, anche prossimi a noi, sono sempre più esclusi dall’attuale modello di società, denunciando ogni atteggiamento discriminatorio e preconcetto”.
Imbarazzo e disagio generati dal fatto che gli autori di tali dichiarazioni non mancano occasione per dirsi sostenuti nell’attuazione del loro programma anche dal consenso dell’elettorato cattolico. Io mi auguro che si alzi qualche voce autorevole a smentirli su questo punto. Non certo per il gusto di vedere il Vescovo o un suo Vicario prenderne le distanze. Semmai per renderli maggiormente consapevoli che il consenso dell’elettorato cattolico, se non è millantato credito, è una grossa responsabilità per i politici che se lo attribuiscono. La responsabilità di tradurre coerentemente in politiche sociali fondate sulla solidarietà e, nel caso, sul principio di non-discriminazione la Dottrina sociale della Chiesa molto esplicita e chiara in proposito.

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