Nel Veneto bianco e ribelle culla della Dc postmoderna
 
L'INCHIESTA dal nostro inviato PAOLO RUMIZ
da "La Repubblica" del 08 Maggio 2000

VICENZA - Trema il ponte di Carmignano, vibra sotto la carica dei bisonti su gomma, dice che sulla Statale 53 Vicenza-Treviso, aorta del Veneto, cuore anfetaminico del Grande Nord che produce, ogni tre camion che passano sul Brenta, due hanno votato destra. Svela che su quel pezzo d'asfalto intasato di fabbriche e ipermercati non si ingolfa solo il popolo incazzatissimo delle partite Iva, l'esercito dei coboldi del capitalismo fai-da-te, i nuovi "animal spirits" del Pil nazionale, ma l'intera Questione Settentrionale. È lì la cruna dell'ago, il collo di bottiglia della sinistra. SI', perché di fronte a quel fantastico collettore di ricchezza, protesta e lavoro, gli strateghi della medesima hanno una voglia matta. Rimuovere la batosta d'aprile liquidando il Nord con una caricatura. Dire: terra di padroncini retrivi, bottegai razzisti e baciapile, drogati di lavoro, evasori e avidi di "schei". Ignoranti come pietre, anche: abbindolati dalle smargiassate del Senatur e dalle balle del Cavaliere. Incapaci di capire la grandezza di Cacciari. "Tutto il Nord alla destra" già gridano. E l'Emilia? Se è sinistra, non può essere Nord, e già la annettono d'ufficio al Centro Italia, lontano dai berluscones. È il segno di una nuova Linea Gotica, di una secessione mentale che si sovrappone a quella politica già in atto e aumenta, anziché ridurre, la distanza dal problema. È come per l'Austria di Haider, dicono qui, anch'essa frutto amaro della sordità socialista. Poiché non la si capisce politicamente, la si ghettizza moralmente, la si chiude in un cordone sanitario. È la strana Europa delle sinistre liberal, che ritaglia da sé ciò che non le somiglia. Padroncini gretti? Il capitalismo è egoista per definizione.

E intanto, Forza Italia è il primo partito del Veneto, e non vince solo tra i padroncini, ma nelle grandi fabbriche, viola capisaldi storici della sinistra, come Marghera o Conegliano-Nord. Raccontano che un delegato dei Comunisti di Cossutta, incaricato di raccogliere firme davanti alla Zanussi di Mel, presso Belluno, sia tornato a valle affranto dai dinieghi. Industriali reazionari? Forse. Alla Forall, impero tessile da 1300 dipendenti a Quinto Vicentino, gli scioperi non esistono, ma non perché regni il terrore. È solo che il "paron", Gianfranco Barizza, coi dipendenti ci vive. Ha costruito per loro un villaggio, un asilo nido, una mensa e una scuola. Pranza con i quadri e ascolta i problemi di tutti. Capitalismo illuminato fine Ottocento alle soglie del terzo millennio.

Veneti razzisti? A Treviso il sindaco sega le panchine per tener lontani gli immigrati, ma nella stessa provincia gli extracomunitari imprenditori sono quintuplicati dal '96, e oggi sono più di 300. In Val di Chiampo, le banche fanno prestiti agevolati ai diecimila nigeriani e senegalesi impiegati nelle concerie, e a Castelfranco, nella stessa via, trovi un parrucchiere alla moda per donne africane e un discount immobiliare per lavoratori stranieri. Alle porte di Vicenza non c'è un vu' cumprà manco a morire: non li hanno espulsi con i vagoni piombati, come vorrebbe qualche leghista. Li hanno solo assorbiti in lavori regolari. Tutti o quasi. Così, la sera del sabato, ti ritrovi con le famigliole etiopi in costume a farsi il gelato in piazza Castello, o i pachistani a esibirsi, seguitissimi, in partite di cricket al parco Querini. Il Veneto sparerebbe sugli scafisti di Otranto e non solo su quelli, ma intanto assorbe e integra. Odierà i terroni "magna pan a tradimento", ma nel '99 ne ha assunti 10 mila.

Estremismo serenissimo? Intanto la Lega crolla ovunque, scende dal 29 al 12 per cento, perde le città, si rintana nelle valli e nei paesini, si normalizza, ridiventa pedemontana come alle origini. E allora? Che succede in Veneto? Il sociologo Ilvo Diamanti, guru del Nordest, sa che la risposta non sta nelle città ma sempre nei mali di pancia del mondo minore. Anni fa spiegò che la crisi della Prima Repubblica si poteva leggere in anticipo in un villaggio sconosciuto di nome Zermeghedo, approdato tra gli ultimi al boom del capitalismo molecolare, e dove la Dc era crollata alla chetichella, sostituita dalla Lega.

Oggi, per leggere il nuovo che avanza non devi andare a Padova o a Venezia, nei centri storici, dove la sinistra tiene. Devi buttarti nel Paese profondo. Per esempio ad Albettone, nella campagna sonnolenta fra i Berici e i Colli Euganei, un paesotto di tremila abitanti dove Forza Italia è salita all'80 per cento. Stessa quota bulgara della Dc di Bisaglia, il boss che nel Vicentino controllava nove Comuni su dieci. Lì, tra le vigne e la chiesa del pievàn, tra le acacie in fiore, il bar e il vecchio municipio in mattoni rossi padani, scopri che in leggerezza, di campanile in campanile, si è riformato il Mar Bianco del Veneto. L'ex sindaco popolare Onorio De Boni, è passato al Polo e, con lui, si sono rimessi in moto i signori delle tessere. Scopri che è tornata la Balena, e che nella sua pancia ha ridato una casa comune a insicuri e arricchiti, agli incazzati dell'industria pedemontana e ai quieti contadini della Bassa, all'anarchia dei leghisti, alla voglia di ordine di An e al tele-populismo di Berlusconi."La vera novità è questo ricompattamento" spiega Diego Bottacin, sindaco ulivista di Mogliano Veneto. "Il resto lo si sapeva da tempo. Già nel '94 Polo e Lega, sommati, davano lo stesso risultato, ma la sinistra non ne ha tenuto conto". Per Diamanti, la sinistra ha buttato via sei anni, pensando che il Male del Nord fosse Bossi, mentre Bossi era solo la sua manifestazione febbrile. Spiega: "Si è illusa che, sparendo la Lega, sparisse il problema. Fatale è che oggi ci sbatta contro il muso". Difatti, la Lega cede, ma il leghismo si allarga, contagia An e Forza Italia delle sue mitologie autarchiche, fa della vecchia Balena una macchina nuova, meno controllabile e più carica di anti- Stato. Un Quarantotto, ma stavolta senza un De Gasperi al volante. Così cresce una Dc postmoderna, più localista e al tempo stesso più apolide, un partito cattolico ma senza le parrocchie, la Cisl e la Fuci. Al posto della Curia, trovi le moquette miliardarie della Cassamarca o i vetri abbrunati della Banca Popolare di Vicenza. Al posto dei confessori sbucano i commercialisti. Sanno i peccati della gente meglio dei preti, e più dei preti hanno le chiavi dell'assoluzione. "È nel mondo dell'intermediazione finanziaria - osserva Renato Cammurri, studioso del moderatismo veneto - che oggi trovi i controllori della nuova politica". Al solito, è cambiato tutto perché non cambiasse nulla: è come se tornasse una Dc ridotta alla sua nudità socioeconomica. Stesso moderatismo, visceralmente anticomunista, orfano del Muro e delle Madonne Pellegrine. Stesso capitalismo cattolico, gaudente, insofferente delle regole e di tutto ciò che rallenta l'arricchimento. Nostalgico, quindi, di una Dc che, col suo allegro "lasciar fare", anticipò senza volerlo flessibilità e deregulation, scatenando il fai-da-te di massa. Spingendo sulla scelta di campo, Berlusconi non ha fatto che riattivare questo potenziale addormentato attraverso l'equazione primordiale "comunismo eguale Stato eguale regole eguale povertà". Così, non solo ha acchiappato i leghisti, ma ha ridato ai moderati il Diavolo e il Muro perduti. E poiché da Roma lo sventurato rispondeva, poiché D'Alema stava al gioco, suonava le trombe della crociata e spediva a Nord i Folena e i Minniti, i veneti, di fronte a Cacciari, finirono per allargare le braccia desolati: "Che bravo che 'l xe. Pecà che 'l xe comunista". Come dire: un geniale Anticristo. Ed ecco le Madonne Pellegrine saltar fuori dalle soffitte, oscurare la regione e le sue leadership, sballare le statistiche, scavar la fossa all'ex sindaco di Venezia. Politicamente, un capolavoro. E oggi, mentre la destra liscia il pelo al popolo delle partite Iva, ne loda la vitalità barbarica, il governo gli fa la morale. Sbaglia linguaggio, parla di new economy ma non balbetta l'Abc del lavoro autonomo. Nel quadrilatero Verona-Vicenza- Padova-Treviso è una fatica bestia trovar disoccupati persino per i corsi di riqualificazione finanziati dall'Europa. E così, quando la sinistra dichiara "guerra alla disoccupazione", i veneti fanno clic, spengono la tv, cadono in preda a shock anafilattico. A Rossano o Breganze c'è una fabbrica ogni sette abitanti, impresa e famiglia sono quasi la stessa cosa, ma quelli gli parlano ancora di sindacato: e tracchete, ai veneti vien l'orticaria. I coboldi sono usciti dal paese, ormai esportano in tutto il mondo, sanno che ovunque chi produce ha la vita più facile che in Italia, ma Visco insiste: "C'è meno burocrazia, meno tasse, le aliquote calano". E giù attacchi di gastrite tra l'Adige e il Piave. "È semplice - fa Alfredo Pevarello, dirigente della Forall - la sinistra parla conservatore e la destra parla progressista. Tra le due, la scelta diventa automatica". "Il voto ha punito il conservatorismo delle sinistre, arroccate su partiti- ombra ridotti a pochi zombie", conferma il sociologo vicentino Paolo Gurisatti. Già, perché mentre il Mar Bianco si riformava, gli altri restavano - e restano - in ordine sparso. "Questo centrosinistra è sfatto, impresentabile", spara Sergio Reolon, un ds bellunese di fede ulivista. E conclude: "O diventiamo coalizione, o chiudiamo baracca fino al 2050". (1. continua)