Il mondo di Vesna

Fotografie di Maurizio Cimino

Mostra fotografica "Il Mondo di Vesna"


Mostra fotografica "Il Mondo di Vesna", dal sito di Peacelink

Luogo
:
Complesso Museale di S. Chiara
Sala Scatti di Vita
Via Santa Chiara, 49/c

Date:
Sabato 29 ottobre 2005 - domenica 8 gennaio 2006

Orari:
ore 9.30 -18.30 giorni feriali
ore 9.30 - 14.30 domenicali

Info:
Tel.: 081 19575915 - 081 5521597
e-mail: info@oltreilchiostro.org
web: www.oltreilchiostro.org - www.santachiara.info

Dal giorno sabato 29 ottobre 2005 sino a domenica 8 gennaio 2006 sarà visibile, presso la Sala Scatti di Vita del Complesso Museale di Santa Chiara, la mostra fotografica Il Mondo di Vesna di Maurizio Cimino.
L'esposizione si compone di 16 foto in bianco e nero, che costituiscono il nucleo pulsante di un ampio reportage, in cui lo sguardo indagatore dell'artista si avvicina alla cultura Rom senza pregiudizi, ma con la curiosità di chi vuole conoscere un mondo che ogni giorno incontriamo ed incrociamo frettolosamente.
Gli scatti di Cimino ritraggono Vesna, una bambina Rom che ha vissuto nel campo nomadi di Secondigliano, alla periferia di Napoli, e il suo mondo fatto di persone dall'aspetto intelligentemente furbesco e di luoghi desolanti; un mondo popolato da bambini dal volto angelico e da donne e uomini dall'aria vissuta, che ti scrutano dentro con i loro sguardi ammiccanti e profondi.
Le foto di Cimino attraggono lo sguardo dell'osservatore in maniera semplice e diretta ed hanno il merito di introdurci in punta di piedi in un mondo poco conosciuto, "altro", diverso.
Gli scatti dell'artista, infatti, senza indugiare su immagini irrispettose della dignità umana, raccolgono frammenti di una vita di strada, in cui si alternano gesti semplici, come la preparazione della crema per il caffè, si sottendono relazioni e tradizioni sociali ataviche cementatesi nei secoli (il discendente, cugini, sociogrammi, incongruenze), si intuisce il ruolo centrale della musica (in treno) e si percepisce la gioia di vivere (vieni a vedere) e la disperazione rabbiosa (rabbia) del mondo nomade. Alla fine del viaggio l'obbiettivo di Cimino, dopo aver ruotato senza posa intorno al mondo dei Rom, si ferma ed immortala la dolcezza di Vesna, che al pari di una piccola Venere reclina il volto.

Il Mondo di Vesna

Padre Giuseppe Reale
(Presidente Associazione Oltre il Chiostro)

Il lavoro fotografico di Maurizio Cimino si offre a noi con l'artistica ricerca dell'istante catturato al flusso degli sguardi, alla ripetizione dei gesti, alla comicità dei corpi in movimento, così come è proprio di chi insegue uno scatto di vita; la fotografia, infatti, interpreta sì la vita come ogni genialità artistica, ma lo fa non con la lentezza riflessiva del gesto pittorico o delle calorose mani che plasmano la materia, piuttosto rende istantaneo un tassello esportandolo da una totalità sfuggevole. Maurizio entra in questo mondo con la curiosità di chi vede per la prima volta e vuole capire qualcosa che gli sfugge, con la delicatezza di uno sguardo in cui non si celano le tristezze, ma senza dimenticare che dietro un normale utensile di vita domestica possa anche ricrearsi il gioco dei bambini. Un mondo, dunque, quello della piccola e già adulta Vesna, né edulcorato dalla nostra sazietà che ci fa idealizzare condizioni di vita che noi non ci sogneremo mai di scegliere per la nostra esistenza, ma neanche sottoposto alla rigida rabbiosità della denuncia sociale a tutti i costi. Le foto di Maurizio documentano quella nostalgia dell'esistenza, che è desiderio e dolore, speranza e sconfitta allo stesso tempo. Quel mondo lo si legge nello sguardo adulto della piccola Vesna; lo si vede nella donna ancora una volta gravida, che a tutti i costi al semaforo vuole pulirti i fari dell'auto; lo leggi nella tua sensazione di sconcerto per quel bimbo che, nel buio di una sera che va verso la notte, è ancora lì per strada a strapparti un po' della tua pietà; lo accogli nella loro istintiva voglia di festeggiare la vita dinanzi ai nostri tristi mugugni. Incontrandoli per strada non sai mai se nella tua corsa ad ostacoli tra la folla o la fila delle auto sei tu che sei nomade perenne o loro che, consegnati alla lentezza di un tempo ormai introvabile, attendono te al tuo passaggio. Quel mondo è lì e la macchina fotografica lo va a scovare ai confini di una complessa e degradata periferia napoletana, dove si confrontano diverse e solidali precarietà della vita sociale. Mondi di confine e di periferia, il mondo di Vesna è un mondo ai margini, che diventa in alcuni momenti incrocio e inciampo, e così ci costringe a pensieri ulteriori che non per forza devono giungere a sintesi di ultimo giudizio, spingendoci a guardare la nostra vita quotidiana a partire da quella barriera di un campo che forse tra un po' più non vi sarà, sgombrato o semplicemente salutato fino al prossimo arrivo.

Introduzione al catalogo

di Enrica Amaturo
Preside della Facoltà di Sociologia
Università di Napoli Federico II

A qualcuno potrebbe sembrare strano che un sociologo scriva un commento al lavoro di un fotografo. Al contrario, invece, il rapporto tra arte fotografica e scienze sociali diviene nel tempo sempre più stretto: se da sempre la fotografia è un supporto indispensabile per la ricerca antropologica, da trent'anni a questa parte si va consolidando - negli Stati Uniti prima e in Europa poi - un filone di studio e di indagine che prende il nome di "sociologia visuale". In questo approccio la fotografia non è più considerata per la sua valenza estetica, ma diviene vero e proprio strumento di indagine empirica, sguardo che scava nella realtà sociale contribuendo spesso a metterne a nudo le contraddizioni, con una evidenza sicuramente più immediata e coinvolgente di quanto possa fare un testo scritto. Ciò è particolarmente vero quando divengono oggetto di analisi la marginalità e l'esclusione sociale, come appunto è il caso delle foto di Maurizio Cimino di un campo Rom nei dintorni di Napoli. Non uso a caso il termine "analisi" in quanto mi sembra che l'autore, pur partendo da un'esperienza artistica, centri in pieno alcuni degli obiettivi di quella che siamo abituati a chiamare la ricerca qualitativa in questo settore: la narrazione della quotidianità di un gruppo sociale, l'individuazione di caratteristiche che ne definiscono l'identità di gruppo, ma soprattutto la capacità di evidenziare la sconvolgente normalità con cui è vissuto il disagio. Certo, lo sguardo di un fotografo è soggettivo. Oggi però stiamo imparando a capire come anche la scienza interpreti il mondo a partire da un punto di vista, e come l'unica possibile garanzia di oggettività consista nell'esplicitazione di questo punto di vista, sia in senso metodologico che concettuale.


Il Campo di Secondigliano - "La selvaggia comunità della politica"

di Maurizio Braucci

Quel campo rom dietro il carcere di Secondigliano è un'offesa al cuore, spacciato per risultato di politiche di integrazione, a ben guardare è oggi un monumento alla scarsa intelligenza delle istituzioni, sta lì, basta andare a guardarlo. Fu fatto da persone che erano informate del fatto che nel resto d'Italia ormai ci si orientasse contro la costituzione di megacampi, persone che avevano il compito di affrontare la questione casa-lavorodiritti per i Rom. Non si può fare a meno di un immaginario, pare, nell'elaborazione di qualsivoglia relazione, eppure esistono immaginari limitati o ampi, un campo recintato appartiene alla prima categoria. Malgrado non richiedessero ciò, quanti avevano stabilito con i baraccati rom della periferia nord rapporti di reciproco arricchimento, si trovarono a subire la stessa umiliazione dei loro amici immigrati: una soluzione insoddisfacente, stupida, brutta. Non era una questione morale, non era con il giusto o sbagliato che si voleva bollare l'imposizione di un ghetto ripulito, piuttosto ci si appellava all'intelligenza, al serve o non serve rifilare ad un emarginato un fiore all'occhiello del disagio? Eppure se ne parlò, si avvertirono i funzionari e gli assessori: il campo, a lungo andare, si sarebbe rivelata una scelta molto costosa e, intanto, anziché risolverli, i problemi, li avrebbe esasperati. Ma per l'abile strategia di dividere il grano dal loglio, le istituzioni seppero accogliere solo le proprie ragioni e quelle dei mediatori che più gli rassomigliavano, e si tennero il loglio. Certo, i politici trovarono la via spianata sul terreno di una questione che presentava tratti contraddittori: i Rom dalla fama di nomadi, famiglie miserabili che non rinunciavano a spendite di lusso, violenti conflitti tra fazioni ortodosse e musulmane, attitudini al furto e all'accattonaggio. Sebbene su tali luoghi comuni, ormai da tempo, qualcuno svolgesse un lavoro di chiarificazione, la sua voce non venne ascoltata, visioni distorte sostennero la soluzione del ghetto, quella più facile e meno rischiosa per dirigenti sciatti. Che il nomadismo sia solo l'effetto di una ricerca di stabilità, che nella cultura rom viga una concezione economica che scandalizza la nostra, che i conflitti cercano sempre delle strategie, che la miseria non sia mai stata fonte di lealtà e democrazia, a tutto ciò, sebbene ce ne fosse l'occasione, nessuno dei politici coinvolti si volle ispirare. Le ragioni del ghetto furono l'emblema del fallimento della politica: non si potevano accontentare degli immigrati ad un livello pari o superiore a quello dei napoletani indigenti. E infatti il fallimento venne dall'aver perso di vista la funzione educativa e indicatrice di valori a cui la politica potrebbe essere rivolta: con una reale ricerca d'integrazione si sarebbe mostrato alla comunità locale l'importanza dell'accoglienza e del riconoscimento dei diritti per la propria, felice, trasformazione. Sarebbe stato un piccolo passo verso quel fermento democratico di cui la nostra città ha bisogno da sempre. Il vantaggio sarebbe andato indirettamente alla popolazione, che in tal modo avrebbe beneficiato dell'attuazione di una cultura dei diritti umani e civili, ma anche ai politici che avessero intrapreso una sfida vincente contro l'egoismo, la sfiducia e l'abbrutimento che espongono la città a mille manipolatori. Si perse dunque l'occasione di fare del caso riguardante centinaia di persone un fenomeno che andasse oltre l'intervento sociale e che assumesse su di sé una responsabilità politica, culturale, umana. C'erano molte ragioni per agire diversamente, esistevano persone capaci di indicare percorsi validi attraverso la loro, indipendente, ricerca, ma erano condizioni di un livello più elevato dei protagonisti politici. Oggi quel campo sta lì, dietro il carcere di Secondigliano, monumento all'istituzionalizzazione della sofferenza, apice di una situazione ancora più ampia e drammatica in cui i Rom sopravvivono a Napoli.

L'autore


Maurizio Cimino
Nasce il 29.09.2969 a Washington d.c., vive e opera a Napoli
Compie gli studi a Napoli conseguendo la laurea in scienze politiche nel 1996 con tesi in pianificazione territoriale
E' borsista presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici dal 1997 al 1999
Fotografa dal 1997 pubblicando su diverse testate (il mattino, repubblica, Zai.net)
Insegna fotogiornalismo nelle scuole partenopee con la coop giornalistica Reporter dal 1998
E' Collaboratore Tecnico presso il Laboratorio Audiovisuale della Facoltà di Sociologia dell'Università Federico II di Napoli; si occupa di sociologia visuale e identità Rom

Mostre:
1999: I suoni dell'immagine presso la Fonoteca e il Kestè
2001: Ruta del alma presso Supefly bar lounge, napoli
2002: Nero di Scena presso S.Severo al Pendino
2004: Uguali/Diversi presso Accademia di Belle Arti, Napoli

contacts:
maurizio cimino
palazzo dello spagnuolo via vergini 19
80137 napoli
+39 3475985408
mau.cimino@libero.it

CESTIM Centro Studi Immigrazione onlus
C.F. 93039900233 - P.IVA 02251650236
via Cavallotti, 10 - 37124 Verona
Tel. 0039-045-8011032 - Fax 0039-045-8035075

Contatti

"La prima schiavitù è la frontiera. Chi dice frontiera, dice fasciatura.
Cancellate la frontiera, levate il doganiere, togliete il soldato, in altre parole siate liberi.
La pace seguirà." (Victor Hugo)
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il
mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro.
Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri" (don Lorenzo Milani)