(Del 15/7/2002 Sezione: Vivere Milano Pag. 3)

La setta dei «Mouride» senegalesi col cuore in Africa e il portafoglio a Brescia



FUORI dall'Italia gli albanesi», oppure i marocchini, gli slavi e i nigeriani. Sui muri, e non solo, sempre più spesso si leggono questi cortesi inviti. Difficilmente però si sentono strali o minacce nei confronti dei senegalesi. Raramente, almeno negli ultimi anni, compaiono i loro nomi nelle pagine di cronaca nera; non ci sono nei resoconti di risse, spaccio di droga, prostituzione. Come mai? La questione religiosa

Una delle spiegazioni è il credo religioso dei senegalesi che emigrano in Italia. Più del 70% di loro sono di etnia wolof e in grandissima maggioranza appartengono alla confraternita mouride, una singolare traduzione del verbo di Maometto che si è diffusa in molte regioni dell'Africa occidentale alla fine dell'ottocento. Essere mouridee significa intendere il lavoro come preghiera. Dovere di ogni buon mouride è lavorare per il marabout, discendente diretto di Cheik Ahamadou Bamba, fondatore del credo. La confraternita mouride è una fittissima tela di relazioni sociali ed economiche che ha il suo cuore a Touba, città santa dove vive il marabout, e ha ramificazioni in tutto il mondo. Una vera potenza politica e finanziaria nel Paese d'origine, un assetto organizzativo che farebbe invidia a una multinazionale. Collegamenti nel mondo

Ogni comunità mouride all'estero riflette l'organizzazione e le caratteristiche maturate nel proprio Paese: un capo riconosciuto, punto di riferimento della comunità e collegamento tra il marabout e la comunità emigrata. Un´organizzazione interna basata sull'aiuto reciproco e sulla mutualità; l'avvio al lavoro e i futuri profitti in cambio di vitto, alloggio e protezione. Ogni immigrato mouridee, al momento della sua partenza dal paesino della brousse o dalle bidonville di Dakar, sa già chi lo aspetterà nel paese di destinazione. Conosce già il nome di chi lo ospiterà, un contatto fornito da un lontano parente, un amico di un cugino, un nome passato da un altro confratello appena rientrato. Una volta giunto in Italia viene accolto dalla comunità e, se non trova una occupazione nell'industria o nell'edilizia, viene avviato al commercio ambulante. I suoi guadagni andranno, in una parte consistente, alla comunità, ovvero al marabout. Il sistema è così in grado di autofinanziarsi e di garantire ai confratelli un solido scudo all´esclusione sociale e allo sfruttamento selvaggio del racket dell´emigrazione clandestina. Lo stesso marabout in persona compie spesso dei viaggi all'estero per incontrare le varie comunità e raccogliere le offerte, distribuendo benedizioni e parole di conforto ai fedeli. Si calcola che in Italia vi siano circa 40 mila senegalesi con regolare permesso di soggiorno, pari al 10 per cento del totale degli africani immigrati. La Touba d´Italia

Brescia è la loro capitale, ribatezzata la «Touba d'Italia». Touba è la città santa dei mouride, dove vive la famiglia e la corte del marabout. Gli immigrati più fortunati riescono a tornare a Touba durante il Grand Magal, il pellegrinaggio annuale in ricordo di Ahmadou Bamba. Forti comunità mouride ci sono anche a Milano, Torino, Livorno e Rimini. A Milano la comunità ha la sua «casa» in una palazzina di Villapizzone; un piano di una ex-fabbrica appena oltre la ferrovia, dove gli odori e i colori sono quelli di Dakar. Le scarpe lasciate rigorosamente all'ingresso, le pareti piene di fotografie del marabout, di immagini e rappresentazioni sacre di Ahmadou Bamba, cartoline dal Senegal e da tutto il mondo. Le stanze con pochi mobili, coperte di tappeti, dove il serign (l'imam locale) si muove indossando il gran bou-bou, la veste tradizionale senegalese e le babbucce all'africana. Nelle giornate di festa o per le grandi occasioni, la casa si riempie a tal punto che il grande terrazzo deve essere ricoperto di tappeti per riuscire ad ospitare tutti i fedeli accorsi da ogni angolo della provincia e spesso non basta, tanto che arrivano fin quasi a pregare in strada. Dalla cucina i profumi dei piatti senegalesi come lo Tcheboujen, la pietanza nazionale: riso con pesce, tuberi e spezie. Si serve in grandi piatti di portata, splendidi vassoi lavorati a mano dove i fedeli mangiano insieme, seduti per terra, con le mani. Nessuna denuncia

Una comunità fiera delle proprie radici che al quartiere non ha mai dato problemi: nessuna denuncia, nessuna lamentela. «Siamo qui da anni e nessuno ci ha mai detto niente - dice il serign Yade - noi lavoriamo e preghiamo, non diamo fastidio a nessuno. Quando passa il marabout o un suo serign dal Senegal allora arrivano da ogni parte d'Italia per salutarlo e dargli delle offerte, per avere notizie del proprio paese, per sapere come stanno i familiari». I nuovi ostacoli

«Purtroppo lavorare in Italia non è facile e lo stanno rendendo impossibile», racconta Yade. «Credo sia sbagliato proibire il ricongiungimento. Per noi è troppo importante poter far arrivare la nostra famiglia qui». Cosa vorrebbe oggi Yade, mouride a Milano? «Vorrei che chi parla male di noi senegalesi conoscesse meglio la nostra comunità che è basata su principi di amore e generosità. Spesso mi guardano male semplicemente perché indosso il bou-bou, ma sono sicuro che è solo una questione di tempo. Il rispetto arriverà».
DANIELE DE LUCA