25.08.2002
Il vescovo di Treviso: «Questi immigrati sono il vostro peccato mortale»
di Michele Sartori

 «Cosa fate là fuori? Entrate, questa è la casa di Dio, la casa di tutti». Il vescovo accoglie in Duomo i quaranta marocchini sfrattati, bivaccanti davanti alle porte della chiesa. Li sistema nella cappella della Madonna, sulla destra, c'è spazio . All'ora della messa, predica ai fedeli indicandoli: «Cristo è venuto sulla terra per dare scandalo. Questi sono i poveri cristi di oggi, i beati ultimi, nostri fratelli, uomini donne e bambini sulla strada perché nessuno vuole affittargli una casa. Che vergogna, che peccato mortale per tutti noi!».

Eh, magari: son cose da «Miserabili». Questo è il sogno che avevano fatto Michele, Sergio, Laila, quando le ruspe del comune hanno raso al suolo le case popolari occupate da una comunità di marocchini, e hanno deciso di portarli ad abitare simbolicamente davanti alle porte del Duomo. Adesso è il terzo giorno, è domenica mattina, il vescovo Paolo Magnani ha appena finito di celebrare la messa grande, decide di uscire, di vedere: «Dove sono?». Là in fondo, eminenza. «I bambini, dove sono i bambini?». Qua, in braccio alle mamme. «Adesso diamo le caramelle ai bambini. Tieni, prendi le caramelle. Tieni, prendi». Ha la mano piena di caramelle, le tasche sotto la stola piene di caramelle. Al bambino: «Tò, la caramella». Alla mamma, rapido: «Io sto facendo molto, spero di aiutarvi, non dovete star qui in eterno». Al bambino: «Prendi la caramella, è buona». Alla mamma: «Penso a voi, non crediate che io sia indifferente. Nel giro di due-tre giorni spero che tutto sia risolto». Al bambino: «Ecco, prendi le caramelle». Alla mamma: «Ma non lasciatevi tirare a forme estreme».

Povero vescovo. Che colpe ne ha, lui? L'hanno preso in mezzo. Gli immigrati, e quei ragazzacci no global dell'«M21», gli dicono: «Trovaci una casa». I leghisti, che governano Treviso con lo sceriffo Gentilini, gli dicono: «Giusto, trovagliela tu». Il più insistente è il senatore Piergiorgio Stiffoni. Che da una parte vede rosso: «Hanno un bel coraggio, questi, ad occupare il Duomo. A Casablanca li avrebbero già gettati in mare. Il Duomo di Treviso non è mai stato occupato, mai! Neanche dai nazisti! Neanche da Napoleone, che aveva portato i cavalli dentro Santa Caterina!». Dall'altra rispolvera antiche ruggini con monsignor Magnani: «Quello non è un vescovo, è un agente immobiliare. La curia possiede condomini interi, tutti affittati a caro prezzo, e sta anche molto attenta a chi li dà, solo gente solida, coppie sposate con redditi fissi. Vediamo un po', se ne affitta qualcuno agli immigrati». E il sindaco? Gentilini esterna da una festa leghista: «Dietro la protesta c’è una cospirazione bolscevica! Non vogliamo casbe in città! Gli immigrati annacquano la nostra civiltà, la nostra razza Piave!».

Che città, la Treviso del terzo millennio. Bellissima. Sotto il vestito, niente. Vive di immigrati, e li teme. Giovedì i marocchini sono entrati in duomo per due ore. Si è scatenata la rabbia: «Profanazione!». Il vescovo ha dovuto quietare, «non c'è stata profanazione». Adesso il pronao, saliti dieci gradini, sotto sei gigantesche colonne, è un limbo. Una quarantina di marocchini, uomini e donne, bambini e ragazzi. Stuoie colorate per terra, per dormire. Bottiglie d'acqua e angurie, trapunte luride e vecchie coperte. Odori acidi, marmi lerci. La vita non è fatta di rose, quando ti demoliscono la casa sulla testa, togliendoti anche il resto, abiti, piatti, mobili che stavi comprando a rate, saponi, dentifrici, pannolini. Da questo piccolo monte Nebo, scrutano come Mosè la terra promessa. Non gli serve una valle di latte e di miele, gli basta un buco per dormire, come a Giuseppe e Maria. Per di più, pagando.

Rari fedeli gli passano accanto scantonando, per andare a messa. Gli ingressi del Duomo sono vigilati, è nato, con tanto di badge, un improvvisato «servizio d'ordine» cattolico, ragazzi e qualche adulto possente. Il sacrista sorride: «Da giovedì la gente non viene. Hanno paura. Arrivano solo turisti». Entra una signora anziana: affitterebbe la casa ad un marocchino? «Mai! Io la casa me la sono fatta coi miei soldoni, lavorando una vita; se la facciano anche loro». Un'altra: aiuterebbe i marocchini? «Se vogliono del pane, lo do: non sono cattiva. Altro, no». Due pensionati: «Dovrebbero passare quello che abbiamo passato noi in miniera, prima di protestare». «Io vorrei occupare una moschea, e poi vedere cosa succede». Un giovane scout: «Hanno ragione a protestare, ma sono strumentalizzati. Mi dà fastidio che occupino proprio la chiesa».

Predica, in una chiesa semipiena, del vescovo: «La differenza di fede con gli islamici è irriducibile, non è irriducibile essere tutti persone che nascono, muoiono, soffrono». Raccoglimento finale: «Per coloro che non hanno un alloggio, affinchè trovino persone accoglienti e disponibili, preghiamo». Don Giorgio, il parroco, si appella: «Se qualcuno sa di qualche casa libera. . .». Nessuno sa.
Che lavoro sta facendo, sotto sotto, la Chiesa? Quello che toccherebbe alla politica. Venerdì il vescovo ha cercato il sindaco Gentilini: «Non si è fatto trovare». El vècio alpìn, il marshall Genty, ha zero intenzioni di pensare agli immigrati, se non per sbatterli via. Ha sostenuto la tesi che gli immigrati non risiedono a Treviso, dunque non è affar suo. Lorenzo Biagi, portavoce del vescovo, ridacchia: «In comune dicono che sono marocchini di Venezia! Sono di Borgo Venezia, che è un quartiere di Treviso». Monsignor Magnani è passato al prefetto; ha trovato il vice. Oggi, dovrebbe esserci un incontro.
I marocchini aspettano, testardi. Per una notte le donne e i bambini sono andati in case di amici per lavarsi, riposarsi un po'. Tre sono state ospitate dalla gente di «M21». Solo una, dalla classica «cittadina qualsiasi» di buon cuore, fattasi avanti spontaneamente: Carmela Cocco, pensionata. Attenzione: l'unico esemplare solidale vive a Treviso, ma è veneziana purosangue. Tanto per restare in tema: altra razza. Dice: «Per prima cosa, mi sono scusata con loro in quanto italiana». Sotto le colonne passano preti dei migranti, attori come Paolini, politici un po' convinti un po' spiazzati, vecchi partigiani. «Sono qui perché è giusto esserci», dice il segretario regionale diessino Cesare De Piccoli. E Giampaolo Sbarra, il diessino avversario storico di Genty in comune: «Le case sfitte ci sono, gli immigrati possono pagare, bastava che il comune si attivasse per costituire un fondo di garanzia per rassicurare i privati. Ci stavano anche gli industriali. Il comune non ha voluto. Questi problemi non si risolvono perché fa comodo perpetuare il gioco delle parti: tu occupi, io sgombero, tu sgomberi, io occupo».

Arriva una ragazza albanese, eccitata: «Questi fare furbi, vuole soldi solo per bere. Io qui da un anno e ancora no permesso, che paura hanno di me?». Mohamed, camionista da Rabat, il più anziano coi suoi 46 anni, spiega paziente: «Io sono in Italia da 24 anni, ho moglie,quattro figli, guadagno un milione e seicentomila al mese. Per affittarmi un monolocale chiedono un milione e trecentomila. Abbiamo vissuto un anno in un furgone, prima di occupare quelle case, che erano del comune, vuote, senza finestre». Amin, uno dei figli, che fa le superiori e parla in trevigiano, s'infiamma: «Quele case non gèra da buttar giù. L'hanno fatto solo parchè gerimo marocchini». Dal Duomo esce un comunicato ufficiale: «Sofferenza, disorientamento» per l'occupazione, ed insieme condanna del modo in cui Treviso calpesta la dignità degli immigrati; per la loro esistenza, finalmente sbuca il termine giusto: «un calvario».